11.01.12
Gennaio 2012
Fabrizio De André Omaggio ad un poeta contemporaneo nel 13° anniversario della morte
Ho conosciuto Fabrizio De André, cantautore, in tenerissima età (15 o 16 anni), proprio all’inizio della sua carriera, nel 1961. Ero un suo fanatico “ascoltatore”, lo ero per il suo modo diverso di utilizzare musica e parole come sistema di comunicazione sociale, lo sono rimasto per gli intensi sentimenti che sprigionavano le sua canzoni-storie-favole. La sua voce sussurrata e profonda, quasi fosse una riservata confidenza, apriva il cuore, alimentava sentimenti importanti a quell’età. Cantava l’amore sacro, l’amore profano, la crudeltà del genere umano, le fiabesche ballate, le assurde morti in guerra, i valori importanti e a volte diversi, cantava di Gesù, di personaggi comuni coinvolti nelle difficili situazioni che la vita riserva. Tutto questo, lentamente, trasformava il carattere di noi ragazzi che ci mutavamo in giovani adolescenti, poi in uomini e poi ancora in persone “mature”. Cantava la paura che ognuno di noi ha della morte, paura che si accentua quando si è troppo attaccati al denaro, al benessere, alla vita agiata, cantava gli incubi notturni che un responsabile subconscio ci ripropone, per riflettere, per meditare, ci consentiva, infine, di scoprire le poesie di Edgar Lee Masters, popolate di spiriti variegati, e di Antoine Pol e Charles Baudelaire, cantori di quei sentimenti che l’amore scatena. Conoscevo a memoria una enorme quantità di sue canzoni e non perdevo occasione per cantarle insieme ad altri amici, ad altri appassionati suoi estimatori. Fabrizio De André cantava di tutto e tutto era terribilmente vero, condivisibile, sostenibile! Collezionavo, in modo quasi maniacale, tutte le sue canzoni incise su nastri a cassetta e dischi in vinile a 33 giri, che ancora conservo, purtroppo ho smarrito i suoi primi 45 giri.
Diciamo subito che la passione per quello che sarà poi la sua professione, avvenne quasi per caso. Conosceva la musica, è vero, ma non l’aveva mai considerata fonte di sostentamento. Tutto per lui, ha inizio nel 1960 quando suo padre Giuseppe, di ritorno da un viaggio fatto a Parigi, gli portò in regalo dei libri di poesia. Erano libri di Charles Baudelaire, Antoine Pol, Georges Brassens, era la poesia dell’amore per l’amore, era una poesia che lo colpì nel profondo dell’animo e che trasparirà sempre, in tutte le sue opere. Il
folgorante incontro con la musica avvenne con l’ascolto di alcune
canzoni di Georges BRASSENS (1921-1981) cantautore, poeta, scrittore
ed attore francese, del quale conosceva le poesie e del quale, più
tardi, tradusse alcune canzoni inserendole nei primi album. La
passione, poi, aveva preso corpo anche grazie alla scoperta del
“Jazz” e l’assidua frequentazione degli amici Luigi Tenco, Umberto
Bindi, Gino Paoli, del pianista Mario De Sanctis ed altri, con cui
iniziò a suonare la Successo e popolarità arrivarono nella seconda metà egli anni sessanta: buona presa sui giovani, nuovo genere musicale, voce calda e rassicurante; seguirono dischi, TV, Radio, fans ecc. Sposato più tardi con una ragazza di famiglia borghese, Enrica Rignon (ebbe da lei il primo figlio Cristiano), se ne separa a metà degli anni settanta. In seguito a tale matrimonio ed alla nascita del figlio, per provvedere al mantenimento della famiglia, Fabrizio De Andrè trovò impiego in una scuola privata come insegnante. Nella
seconda metà degli anni settanta, in previsione della nascita della
figlia Luisa Vittoria (Luvi), De André si stabilisce nella tenuta
sarda dell’Agnata, a due pa Nel periodo compreso tra il 1969 ed il 1979 De André viene sottoposto a controlli da parte delle forze di polizia e dei servizi segreti italiani, controlli effettuati dopo che un suo conoscente, simpatizzante del marxismo-leninismo, era stato indagato durante le prime inchieste sulla strage di Piazza Fontana. Negli anni successivi De André viene ritenuto dal SISDE un “simpatizzante delle Brigate Rosse”, circostanza per la verità mai accertata. La sera del 27 agosto 1979, nella tenuta di Tempio Pausania, la coppia Fabrizio De André e Dori Ghezzi viene rapita dall’anonima sequestri sarda e tenuta prigioniera nelle montagne di Pattata, per essere liberata quattro mesi dopo (Dori il 21 dicembre e Fabrizio il 22) dietro versamento del riscatto, circa 550 milioni di lire, in buona parte pagato dal padre Giuseppe.
Ho
avuto il piacere di conoscere personalmente Fabrizio De André e sua
moglie Dori Ghezzi tanti anni fa.
Erano ospiti, a Soriano nel Cimino, del sig. Alberto Santini a cui erano legati da una lunga e consolidata amicizia. Era la fine dell’estate del 1995 ed io frequentavo assiduamente “Les Freres Queteurs srl”, una Società di Import – Export Antiquariato esistente a Vignanello Loc. Centignano, negli stessi locali, ora ampliati, della Casa d’Aste “Eurantico”. Fu proprio il sig. Santini che, amico dell’Ammistratore della Soc. Les Freres Queteurs, in una splendida mattina di settembre si presentò nei capannoni dell’azienda con i coniugi De André. I coniugi De André, un po’ per passione ed un po’ per esigenze personali, divennero poi clienti abituali e, ricordo, acquistarono una grande quantità di vecchi mobili spagnoli per arredare un loro “Residence”, in fase di ultimazione, posseduto in Sardegna. Fu per
me, e per tutto il personale, un evento indimenticabile ed
emozionante, emozionante al punto da non ricordare più nulla di
quel che dissi o cercai di dir Conquistarono tutti i presenti per la simpatia, per la curiosità, per la gentilezza dei modi e, soprattutto, per la sua voce “cavernosa” che fino ad allora avevamo ascoltato solo per radio o attraverso cassette musicali e dischi in vinile. Capitarono molte altre volte, e sempre con quel loro modo di fare sobrio, comune, misurato, nient’affatto altezzoso: c’eravamo abituati a considerarlo uno di noi. Confesso che a Fabrizio De André rivolgo frequentemente il mio pensiero, in modo particolare ogni 11 gennaio, ogni volta provo tristezza per la perdita. Mi
gratifica sempre la vigorosa stretta di mano ch Le ceneri di Fabrizio De André sono custodite nella tomba di famiglia nel Cimitero Staglieno di Genova accanto al fratello Mauro, al padre Giuseppe e alla madre Luisa Amerio. (foto a fianco)
Il tema del brano, e della poesia, è la nostalgia degli amori impossibili, irrealizzati per forza d’inerzia, per non aver saputo abbandonare la realtà, la propria stanza, il treno, la strada maestra della vita. Anche un altro grande poeta francese ha ispirato De André, per lo stesso tema, è Charles Baudelaire con la poesia “A une passante”: qui nell’assordante caos urbano, il poeta è affascinato da una donna stupenda, vestita a lutto, nobile nel portamento, elegantissima. Di lei nota la mano, gli occhi, lo sguardo dolcissimo e tempestoso, carico di sofferenza. Non la ferma, e sempre rimpiangerà un amore consapevole, corrisposto e mai colto (“Poiché io ignoro dove tu fuggi, tu non sai dove io vado,/ o tu che avrei amato, o tu che lo sapevi”. Traduzione letterale della poesia di Baudelaire).
Brassens e De André moltiplicano la passante di Baudelaire in tutte
le possibili passanti, in tutte le donne scorte un istante e perdute
per sempre. Anche loro ne ricordano le mani, gli occhi che lasciano
“vedere il fondo della malinconia / di un avvenire disperato”.
Poi, però, le passanti di Brassens – De André sono ricondotte a una
dimensione più umana di quella di Baudelaire. Mentre per il poeta
l’attimo fuggente è cancellato e la perdita è inesorabile, per i due
canto
Riporto, con piacere, il testo di questa bellissima canzone invitandovi a leggerla con attenzione per apprezzarne il contenuto. Allego anche il brano musicale che potrete ascoltare e riascoltare con calma e possibilmente in assoluto silenzio.
Un saluto ed un augurio di buona lettura e buon ascolto
|