11.01.12
Non si vive di solo pane, ma anche... di poesia
di Tommaso Marini

 

Gennaio 2012

 

Fabrizio De André
(18.02.1940 - 11.01.1999)

Omaggio ad un poeta contemporaneo nel 13° anniversario della morte

            L’11 gennaio di quest’anno, è ricorso il tredicesimo anniversario della morte di Fabrizio De André, cantautore di professione e poeta, uno dei maggiori poeti contemporanei per la capacità espressiva; il poeta delle espressioni forbite, delle sensazioni comuni ed intense, il poeta dei giovani che sapeva far diventare reale ogni sua tenera storia, tanto da farla sembrare tenera, appassionata, profonda o farla divenire provocatoria e tagliente quasi come una spada.

            Ho conosciuto Fabrizio De André, cantautore, in tenerissima età (15 o 16 anni), proprio all’inizio della sua carriera, nel 1961.  Ero un suo fanatico “ascoltatore”, lo ero per il suo modo diverso di utilizzare musica e parole come sistema di comunicazione sociale, lo sono rimasto per gli intensi sentimenti che sprigionavano le sua canzoni-storie-favole.

            La sua voce sussurrata e profonda, quasi fosse una riservata confidenza, apriva il cuore,  alimentava sentimenti importanti a quell’età.  Cantava  l’amore sacro, l’amore profano, la crudeltà del genere umano, le fiabesche ballate, le assurde morti in guerra, i valori importanti e a volte diversi, cantava di Gesù, di personaggi comuni coinvolti nelle difficili situazioni che la vita riserva. Tutto questo, lentamente, trasformava il carattere di noi ragazzi che ci mutavamo in giovani adolescenti,  poi in uomini e poi ancora in persone “mature”.

            Cantava la paura che ognuno di noi ha della morte, paura che si accentua quando si è troppo attaccati al denaro, al benessere, alla vita agiata, cantava gli incubi notturni che un responsabile subconscio ci ripropone, per riflettere, per meditare, ci consentiva, infine, di scoprire le poesie di Edgar Lee Masters, popolate di spiriti variegati, e di Antoine Pol e Charles Baudelaire, cantori di quei sentimenti che l’amore scatena.

             Conoscevo a memoria una enorme quantità di sue canzoni e non perdevo occasione per cantarle insieme ad altri amici, ad altri appassionati suoi estimatori.

            Fabrizio De André cantava di tutto e tutto era terribilmente vero, condivisibile, sostenibile! Collezionavo, in modo quasi maniacale, tutte le sue canzoni incise su nastri a cassetta e dischi in vinile a 33 giri, che ancora conservo, purtroppo ho smarrito i suoi primi 45 giri.

 

            Di Fabrizio De Andrè, però, desidero ricordare brevemente il suo percorso di vita, artistica ed umana, ripercorrendo brevemente le tappe più significative della sua esistenza.

            Diciamo subito che la passione per quello che sarà poi la sua professione, avvenne quasi per caso. Conosceva la musica, è vero,  ma non l’aveva mai considerata fonte di sostentamento.

            Tutto per lui, ha inizio nel 1960 quando suo padre Giuseppe, di ritorno da un viaggio fatto a Parigi, gli portò in regalo dei libri di poesia.  Erano libri di Charles Baudelaire, Antoine Pol, Georges Brassens, era la poesia dell’amore per l’amore, era una poesia che lo colpì nel profondo dell’animo e che trasparirà sempre, in tutte le sue opere.

             Il folgorante incontro con la musica avvenne con l’ascolto di alcune canzoni di Georges BRASSENS (1921-1981) cantautore, poeta, scrittore ed attore francese, del quale conosceva le poesie e del quale, più tardi,  tradusse alcune canzoni inserendole nei primi album.  La passione, poi, aveva preso corpo anche grazie alla scoperta del “Jazz” e l’assidua frequentazione degli amici Luigi Tenco, Umberto Bindi, Gino Paoli, del pianista Mario De Sanctis ed altri, con cui iniziò a suonare la chitarra e a cantare nel locale “La Borsa di Arlecchino” a Genova.

            Successo e popolarità arrivarono nella seconda metà egli anni sessanta: buona presa sui giovani, nuovo genere musicale, voce calda e rassicurante; seguirono dischi, TV, Radio, fans ecc.

            Sposato più tardi con una ragazza di famiglia borghese, Enrica Rignon (ebbe da lei il primo figlio Cristiano), se ne separa a metà degli anni settanta.  In seguito a tale matrimonio ed alla nascita del figlio, per provvedere al mantenimento della famiglia,  Fabrizio De Andrè trovò impiego in una scuola privata come insegnante.

            Nella seconda metà degli anni settanta, in previsione della nascita della figlia Luisa Vittoria (Luvi), De André si stabilisce nella tenuta sarda dell’Agnata, a due passi da Tempio Pausania, insieme a Dori Ghezzi (anche lei bravissima cantante, molto apprezzata negli anni 1965 - 1977), sua compagna dal 1974, poi sposata nel 1989.

            Nel periodo compreso tra il 1969 ed il 1979 De André viene sottoposto a controlli da parte delle forze di polizia e dei servizi segreti italiani, controlli effettuati dopo che un suo conoscente, simpatizzante del marxismo-leninismo, era stato indagato durante le prime inchieste sulla strage di Piazza Fontana.

            Negli anni successivi De André viene ritenuto dal SISDE un “simpatizzante delle Brigate Rosse”, circostanza per la verità mai accertata.

            La sera del 27 agosto 1979, nella tenuta di Tempio Pausania, la coppia Fabrizio De André e Dori Ghezzi viene rapita dall’anonima sequestri sarda e tenuta prigioniera nelle montagne di Pattata, per essere liberata quattro mesi dopo (Dori il 21 dicembre e Fabrizio il 22) dietro versamento del riscatto, circa 550 milioni di lire, in buona parte pagato dal padre Giuseppe.

 

            Ho avuto il piacere di conoscere personalmente Fabrizio De André e sua moglie Dori  Ghezzi  tanti  anni  fa.

            Erano ospiti, a Soriano nel Cimino, del sig. Alberto Santini a cui erano legati da una lunga e consolidata amicizia.

            Era la fine dell’estate del 1995 ed io frequentavo assiduamente “Les Freres Queteurs srl”, una Società di Import – Export Antiquariato esistente a Vignanello Loc. Centignano, negli stessi locali, ora ampliati, della Casa d’Aste “Eurantico”.

            Fu proprio il sig. Santini che, amico dell’Ammistratore della Soc. Les Freres Queteurs, in una splendida mattina di settembre si presentò nei capannoni dell’azienda con i coniugi De André.

            I coniugi De André, un po’ per passione ed un po’ per esigenze personali, divennero poi clienti abituali e, ricordo, acquistarono una grande quantità di vecchi mobili spagnoli per arredare un loro “Residence”, in fase di ultimazione, posseduto in Sardegna.

            Fu per me, e per tutto il personale, un evento indimenticabile ed emozionante, emozionante al punto da non  ricordare più nulla di quel che dissi o cercai di dire nella circostanza.  La cosa che ricordo molto bene è che tutti eravamo in difficoltà nella conversazione, non sapendo come rivolgerci loro, e fu proprio Fabrizio a toglierci d’impaccio dicendo che aveva, come tutti, un nome e quello era il modo per chiamarlo:  Fabrizio lui, Dori sua moglie!

            Conquistarono tutti i presenti per la simpatia, per la curiosità, per la gentilezza dei modi e, soprattutto, per la sua voce “cavernosa” che fino ad allora avevamo ascoltato solo per radio o attraverso cassette musicali e dischi in vinile.

            Capitarono molte altre volte, e sempre con quel loro modo di fare sobrio, comune, misurato, nient’affatto altezzoso: c’eravamo abituati a considerarlo  uno di noi.

            Confesso che a  Fabrizio De André rivolgo frequentemente il mio pensiero, in modo particolare  ogni 11 gennaio, ogni volta provo tristezza per la perdita.

            Mi gratifica sempre la vigorosa stretta di mano che ci si scambiava all’incontro (come si fa tra persone care) e mi rimane ancora il piacere provato nel conversare con lui ed ancor più con sua moglie, molto più loquace.

            Le ceneri di Fabrizio De André sono custodite nella tomba di famiglia nel Cimitero Staglieno di Genova accanto al fratello Mauro, al padre Giuseppe e alla madre Luisa Amerio. (foto a fianco)

 

            In occasione di questa funesta ricorrenza desidero ricordare Fabrizio De André proponendo una bellissima canzone, da lui tradotta e reinterpretata, di Georges Brassens su un testo poetico di Antoine Pol:  “Le Passanti”.

            Il tema del brano, e della poesia, è la nostalgia degli amori impossibili, irrealizzati per forza d’inerzia, per non aver saputo abbandonare la realtà, la propria stanza, il treno, la strada maestra della vita.

            Anche un altro grande poeta francese ha ispirato De André, per lo stesso tema, è Charles Baudelaire con la poesia “A une passante”:

            qui nell’assordante caos urbano, il poeta è affascinato da una donna stupenda, vestita a lutto, nobile nel portamento, elegantissima.  Di lei nota la mano, gli occhi, lo sguardo dolcissimo e tempestoso, carico di sofferenza.  Non la ferma, e sempre rimpiangerà un amore consapevole, corrisposto e mai colto (“Poiché io ignoro dove tu fuggi, tu non sai dove io vado,/ o tu che avrei amato, o tu che lo sapevi”.  Traduzione letterale della poesia di Baudelaire).

            Brassens e De André moltiplicano la passante di Baudelaire in tutte le possibili passanti, in tutte le donne scorte un istante e perdute per sempre. Anche loro ne ricordano le mani, gli occhi che lasciano “vedere il fondo della malinconia / di un avvenire disperato”. Poi, però, le passanti di Brassens – De André sono ricondotte a una dimensione più umana di quella di Baudelaire.  Mentre per il poeta l’attimo fuggente è cancellato e la perdita è inesorabile, per i due cantori le passanti possono tornare ad essere consolazione nella solitudine:  “Allora nei momenti di solitudine / quando  il rimpianto diventa abitudine,/ una maniera di vivere insieme,/ si piangono le labbra assenti / di tutte le belle passanti / che non siamo riusciti a trattenere”.

 

            Riporto, con piacere, il testo di questa bellissima canzone invitandovi a leggerla con attenzione per apprezzarne il contenuto.  Allego anche il brano musicale che potrete ascoltare e riascoltare con calma e possibilmente in assoluto silenzio.

                                     

LE PASSANTI

Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano

A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere


Testo: Fabrizio De André - traduzione di una canzone di Georges Brassens, tratta da una poesia di Antoine Paul e da altra di Charles Baudelaire.

Anno di pubblicazione: 1974

 

   

 

Un saluto ed un augurio di buona lettura e buon ascolto

 

Vignanello, li 11 gennaio 2012

Tommaso  Marini