20.01.10
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini

GENNAIO  2010

Casimiro Grattarola
22.06.1925 – 13.12.1996

Da bambino ho sempre creduto che un uomo morfologicamente grande dovesse avere un cuore altrettanto grande. Da adulto, invece, ho scoperto che l’equazione: grande uomo = grande cuore risulta essere, molto spesso, una disequazione!
Quando ripenso al mio eroe, però, ritorno nelle mie certezze di bimbo e lo paragono ad un personaggio fantastico usato in un vecchio spot pubblicitario di una nota casa dolciaria: “il gigante buono” che veniva chiamato in aiuto dall’intero villaggio per qualsiasi difficoltà!
Chi lo conobbe, non solo in paese, lo ricorda ancora per la sua simpatia, per le sue molteplici capacità manuali, per la sua costante disponibilità e per la sua contagiosa allegria.

Casimiro Grattarola lavorava da meccanico, come il padre Igino, lo zio Claudio ed il fratello Mauro, nella piccola officina meccanica situata nei locali dell’odierno distributore di carburante di Via Cavour.
Aveva una grandissima passione per il pugilato ed alla sera “tirava” di boxe nella palestra di Soriano nel Cimino: era un “peso massimo naturale“. Lo era per la sua mole, per la sua indiscussa esuberanza muscolare e per quei due “badili”, che teneva al posto delle mani.
Disputò diversi incontri tutti vinti per KO, tranne l’ultimo che mise fine alla sua breve e brillante carriere dilettantistica e che vale la pena ricordare.
Si disputava il campionato provinciale dei pesi massimi. Casimiro si era preparato scrupolosamente per l’importante match. Il ring era il suo: quello di Soriano nel Cimino. Tutti i pronostici gli erano favorevoli. Un’enorme quantità di spettatori e simpatizzanti erano intervenuti per sostenerlo. 

Il match iniziò bene ed il nostro “campione” conduceva ampiamente ai punti. Ci si avviava alle ultime riprese quando, al termine di un prolungato scambio di colpi, l’elastico dei suoi pantaloncini cedette. Casimiro aveva due sole possibilità: coprire il volto o coprire le “vergogne”.
Scelse la seconda e non fu quindi in grado di evitare un potente diretto alla mascella (vibrato dal suo poco cavalleresco avversario) che lo spedì nel mondo dei sogni e verso una sonora sconfitta per KO, dovuta, diciamo così, a motivazioni… ambientali!
Raccontando personalmente il fatto, Casimiro continuava a ripetere che era contrariato più della scorrettezza che della sconfitta, “Io avrei smesso di boxare” ripeteva. Tutti, riconoscendo la sua generosità, avevano la certezza di questo suo comportamento.
Abbandonò il pugilato e, negli anni successivi, il suo lavoro di meccanico per dedicarsi al commercio.

“Portava il vino a Roma” come si usava dire all’epoca. Era questa un’attività praticata da un elevato numero di compaesani che trasportavano il buon prodotto delle nostre campagne nelle località più disparate del Lazio.
Il furgone di Casimiro (se non ricordo male, un vecchio 1100/103 trasformato da lui medesimo!) veniva riempito fino all’inverosimile con recipienti in legno (barilette) e vetro (damigiane) che, trasportati in città, venivano acquistate da assidui clienti (le cosi dette “poste”, che potevano essere anche vendute, in caso di dismissione dell’attività, ad altro commerciante) con cadenza settimanale.
Aiutante di Casimiro era Giuseppe Annesi, vistosamente claudicante a destra (detto, per tale motivo, “Peppe Pisa”, 1914 – 1979), calzolaio molto “discusso” ed audace portiere della squadra degli scapoli, che per reali impossibilità deambulatorie non era poi tanto… aiutante!
Vederli camminare insieme era come rivivere una scena del film “L’Armata Brancaleone”. Casimiro procedeva alto, maestoso, imponente; due passi indietro seguiva Peppe, leggermente curvo, ondeggiante e vistosamente affaticato!
Casimiro “abbracciava” quattro damigiane alla volta, Peppe ne muoveva a malapena due. Casimiro effettuava con sveltezza le consegne mentre Peppe, ormai sfinito, fungeva da guardiano al furgone! 

Ripensando alla magnanimità di Casimiro, ritengo che l’aiuto richiesto a Peppe era solo una giustificazione alla piccola retribuzione elargita a quest’ultimo per aiutarlo a sopravvivere.
Di lunedì, spostandomi a Roma per i miei studi universitari, ottenevo un “passaggio” sul furgone di Casimiro, con partenza alle ore cinque da sotto casa!
Il tragitto l’ho sempre definito “una piacevole avventura”: sedevamo in tre nei due sedili dell’abitacolo dell’auto, la valigia sulla gambe e svariati pacchi di dolci caserecci da regalare ai clienti migliori (cose che non potevano viaggiare nel vano “merci” per motivi igienici e, soprattutto, per mancanza di spazio). Casimiro, forse per sminuire la scomodità che creava la mia intrusione, era solito rimarcare quanto il cambio al volante offrisse spazio in abbondanza!

Peppe, per l’intero tragitto, non faceva che declamare ad alta voce le scritte pubblicitarie presenti sui cartelloni posti ai lati della strada (S.S. Cassia vecchio percorso), accompagnate da vistosi errori di lettura e commenti personali, spesso al limite della decenza, su quanto pubblicizzato.
Uno di questi cartelloni, ricordo, pubblicizzava i prodotti “RIELLO” e Peppe leggendo in vignanellese (Ri ello = ri eccolo), continuava a chiedere: “RIELLO... ma chi?”. Casimiro ed io sorridevamo.

A volte ci si imbatteva in qualche pattuglia della polizia stradale: Casimiro si portava in avanti verso il volante, spostava la sua mole verso il centro dei sedili e mi faceva “sparire” dietro la sua figura impedendo, di fatto, la visione del terzo passeggero non consentito.
La prima tappa obbligatoria era a La Storta, stazione di pagamento del Dazio sui prodotti da commercializzare in città, ed era anche la breve interruzione di un allegro incubo.
Alle ore sei, d’inverno, era ancora buio e quindi la sosta consentiva la consumazione di un cappuccino (buonissimo rispetto a quelli consumati, allora, in paese!) che Casimiro offriva a noi compagni di viaggio. Su Via Trionfale assistevo alle prime “consegne” mattiniere.

Giunti a Piazza Risorgimento prendevo l’autobus 64 per l’Università e loro continuavano la giornata lavorativa.
Una cosa mi ripeteva sempre Casimiro: “Quanno devi venì a Roma dimmelo, i’ posto c’è sempre!”

L’altra passione che Casimiro aveva da sempre coltivato era quella di suonare il saxofono!
Quando si esercitava in casa (io ero ancora bambino) risultava, nel contempo, piacevole o insopportabile: piacevole nell’interpretazione di motivetti di musica leggera (specie quelli cantati nelle competizioni canore dell’anno), noioso nell’interpretazione di brani musicali del repertorio bandistico (questi ultimi erano motivo di lamentele da parte dell’intero condominio).
La Banda fu la passione che non abbandonò mai e che, per quanto ricordo, continuò a coltivare fino agli ultimi anni di vita, nonostante difficoltà di deambulazione e fastidi fisici causati da un brutto incidente.
L’investimento subito nel dicembre del 1984 mentre si recava in ospedale per il ricovero della moglie malata e poi la morte della sua Ida, nel gennaio del 1985, lo segnarono e debilitarono più di qualunque altro evento.
L’amore delle figlie, dei nipoti e dei generi non riuscì a fargli dimenticare ciò che aveva perso. Vennero meno l’allegria, l’entusiasmo e lo “smalto”. Rimase il “gigante buono” di sempre ma con una velata tristezza negli occhi che lo accompagnò fino all’ultimo “incontro”.

Casimiro sapeva che quella volta non avrebbe vinto, ma non rinunciò al combattimento. Al suono del gong si alzò dal suo “angolo”, stanco, privo di motivazioni, quasi arrendevole. Si mise “in guardia”, contrastò brevemente la sua “avversaria” ma si accorse di non avere forze sufficienti e si arrese. Era il 13 dicembre 1996, giorno ideale per salire finalmente in cielo per festeggiare il settantatreesimo compleanno della sua amata Ida Maria.

Il “suo” saxofono è custodito con amore nei locali della Banda Musicale “Giacomo Puccini” di Vignanello, Banda di cui Casimiro fu, per lunghissimo tempo, Primo musicante.
Il sorriso e la voce inconfondibile di “quell’omone”, che coordinava “l’attacco” della Banda di Vignanello, sono custoditi con amore negli occhi e nel cuore dei tanti che lo conobbero.

Ma non è solo questo il Casimiro che ricordo.
Abbiamo abitato nello stesso palazzo e sullo stesso pianerottolo per più di venti anni!
Ho conosciuto ed apprezzato tutta la sua famiglia: la moglie Ida Maria Ferri morta prematuramente, lo zio Tullio che viveva con loro, la figlia Maria Elena, con la quale sono cresciuto, ed Anna Maria la secondogenita.
Insieme ad altri coinquilini, che come me non avevano la TV, da adolescente ero ospite nella sua casa per la visione di interminabili sceneggiati televisivi (Una tragedia americana, Piccolo mondo antico, Il Mulino sul Po ed il Teatro di Gilberto Govi di cui sono rimasto un fanatico cultore).
Eravamo certamente invadenti ma non vi fu mai manifestazione di fastidio, anche se le serate diventavano interminabili, per gli ospitanti. Si viveva, allora, con un concetto di famiglia allargata, le gioie ed i dolori di casa mia erano le gioie ed i dolori dei nostri dirimpettai, lo scambio di favori era quasi quotidiano e la disponibilità era totale. Altri tempi, altri valori, altri affetti, oserei dire: altri uomini!

Ma non voglio fermarmi qui e non voglio essere triste, proprio perché a Casimiro non sarebbe piaciuto. Qualche altra curiosità voglio raccontarla per far conoscere ai più giovani anche il suo carattere allegro, scanzonato e schietto che non nascondeva, annoverandole, curiose esperienze vissute.
Due di queste era solito raccontarle spesso, il Circolo A.C.L.I. era il “naturale” palcoscenico, entrambe miravano ad osannare il suo mirabolante stomaco e la sua velocissima digestione:

- la prima faceva riferimento ad un esame medico che gli era stato prescritto per un fastidio addominale che lo tormentava. Il suo medico (dott. Ugo Eliodoro Anselmi, che poi era il medico di tutti i vignanellesi) aveva prescritto una lastra allo stomaco.

Tale esame veniva effettuato dopo aver ingerito il rituale “bicchierone” di liquido bianco di contrasto e, dopo qualche minuto, veniva effettuata la lastra. Casimiro si attenne a quanto prescritto dal tecnico radiologo, ma al momento della lastra non era visibile il mezzo di contrasto. La procedura venne ripetuta, ma anche questa seconda volta il mezzo di contrasto era assente. Ci fu un terzo tentativo dopo di che, considerata la velocità  con cui il mezzo di contrasto attraversava il suo stomaco, si decise di effettuare l’esame mentre Casimiro, in piedi, ingeriva quella lattuginosa bevanda: solo così fu possibile riscontrare l’inesistenza di qualsiasi malanno (“qualche problema - diceva lui - c’era stato dopo, per eliminare quello che me avevano fatto beve!”).

- la seconda era la narrazione di un pranzo consumato insieme a don Luigi in un ristorantino, annesso ad una pompa di carburante, situato sulla S.S. Aurelia  in prossimità di Tarquinia.

Il pranzo era a costo fisso ed il menù elencava tre possibili scelte per ogni portata. Si poteva mangiare tutto ciò che si desiderava spendendo sempre la medesima cifra!
Casimiro raccontava il fatto per sottolineare l’infinita capacità ricettiva del suo stomaco.
I due “curiosi” avventori (Casimiro e don Luigi, anche lui discreta forchetta) iniziarono con un trittico di antipasti seguito da un trittico di abbondanti “primi”.
Il proprietario, certo della sazietà dei due clienti consigliò un “secondo leggero” che don Luigi accettò ma, Casimiro, nell’intento di strabiliare il proprietario, chiese tutti i tre piatti che divorò in un baleno.
La circostanza non impensierì affatto il ristoratore (uomo di grande spirito) il quale afferrò immediatamente l’intenzione ed accettò la “sfida” cercando di alimentare tale voracità e sperando in un tracollo per sazietà. Don Luigi non toccò più cibo mentre Casimiro divorò tre contorni, tre porzioni di dolce, una consistente quantità di frutta (il tutto annaffiato da buon vino), il caffè e l’ammazzacaffè!
Il titolare del ristorante domandò, a questo punto, se poteva essere gradito “un piatto a sorpresa fatto in casa”.
Don Luigi, oramai sazio, rifiutò, ma Casimiro, pensando al prosieguo della sfida, non si tirò indietro!
Giunse a breve, su un vassoio, un recipiente coperto che Casimiro immediatamente scoprì: era un vaso da notte contenente quanto era stato sì “fatto in casa” ma… durante la notte!!
Casimiro accettò lo scherzo con una fragorosa risata, strinse la mano al ristoratore complimentandosi per la “trovata”, pagò il dovuto ed uscì dal locale continuando a ridere insieme a don Luigi. Il fatto fu commentato dai due per tutto il tratto di strada che, in auto, percorsero per tornare a Vignanello.

Vignanello, li 20 Gennaio 2010