20.04.10
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini

APRILE  2010

Il Tenore Arturo GERVASI
08.07.1889 - 19.03.1984

All’età di 10/12 anni, nel corso di un banchetto nuziale alquanto spartano, ascoltai per la prima ed ultima volta la scintillante voce di Arturo GERVASI che, con la gola protetta da un enorme scialle bianco, interpretava Canio, dall’Opera lirica “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo.
Il brano, per la verità poco indicato per una cerimonia nuziale, era in onore degli sposi e per il piacere degli invitati. Ma era, soprattutto, il cavallo di battaglia del tenore Arturo Gervasi.
Canio non sospetta che la moglie Nedda (Colombina, in scena) lo tradisca con Silvio, un contadino del luogo. Tonio (Taddeo, in scena), che ama Nedda ma che è da lei respinto, avvisa Canio del tradimento. Questo scopre i due amanti che si promettono amore, ma Silvio fugge senza che Canio lo veda in volto. Canio vorrebbe scagliarsi contro Nedda, ma arriva uno degli attori a sollecitare l’inizio della commedia perché il pubblico aspetta. Canio non può fare altro, nonostante il suo dolore, che truccarsi e prepararsi per andare in scena!
(Nella foto: Arturo Gervasi in abiti di scena)

Così cantava Canio (Arturo) alla chiusura del Primo atto:

Vesti la giubba e la faccia infarina.
La gente paga e rider vuole qua.
E se Arlecchin t’invola Colombina,
ridi, Pagliaccio… e ognuno applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto;
in una smorfia il singhiozzo e ‘l dolor.
Ridi, Pagliaccio, sul tuo amore infranto!
Ridi del duol che t’avvelena il cor!

Ricordo ancora la commozione, che mi procurò quella interpretazione, e quella voce che risuonava limpida nei locali posticciamente addobbati per il banchetto nuziale (l’attuale pizzeria “Pizza Queen” comunicante, nel retro, con l’attuale negozio per animali “Piccolo Cucciolo”), ricordo la meraviglia dei presenti divenuti improvvisamente muti.
Ho ancora negli occhi la commossa espressione dei commensali stupiti da tanta armonia e le copiose lacrime della sposa (forse ignara della trama dell’Opera) sconvolta da tale struggente interpretazione.
Forse anch’io piansi !

In questo mese di Aprile desidero ricordare un personaggio unico del quale cercherò di tracciare una leggera biografia: parsimoniosa come il suo carattere, schivo della celebrità e del clamore mediatico.
Ho voluto, in parte, romanzare alcuni eventi della sua lunga vita . Cercherò di farmelo perdonare nel corso della narrazione che intendo intraprendere, una narrazione che potrebbe confondersi con la trama avventurosa di un film.
Confesso che, recandomi al cimitero, non riesco ad evitare il percorso che mi conduce davanti alla tomba di Arturo GERVASI. Sento, come per magia, la necessità di fermarmi in riverente silenzio per recitare una preghiera in sua memoria. Ogni volta ho la netta sensazione di rivivere quella atmosfera celestiale e di ascoltare quella voce limpida di mezzo secolo prima.

Dicevo che la vita di Arturo GERVASI potrebbe essere utilizzata per la trama di un film e vale la pena ricordarla per la tragicità, per la traboccante felicità e per la disperazione in essa contenuta.
Arturo nasce l’8 Luglio 1889, da Gaetano e Maria Braconi, ed avrà un fratello, Ansaldo, di un anno più piccolo. I suoi primi anni di vita trascorrono felici in famiglia, come dimostrano alcune foto che ritraggono insieme i tre uomini di casa Gervasi. (Nella foto, da sinistra: Arturo, Gaetano e  Ansaldo)

Siamo nel 1900, Arturo inizia il suo curriculum scolastico in un Convitto Militare seguito, l’anno successivo, dal fratello. Purtroppo la sua fanciullezza è segnata da un lutto atroce: nel 1905 perde suo padre Gaetano, benestante e stimato Ufficiale Sanitario in Vignanello.
La morte del padre crea, in famiglia, gravi problemi economici: non esistono altre fonti di sostentamento ed il periodo storico è un periodo di recessione.
Convinto di trovare fortuna lontano dal paese, chiede ed ottiene ospitalità da parenti stabilitisi a New York; nel 1907, all’età di 17 anni, realizza il suo sogno: lasciare l’Italia ed emigrare in America. ( www.ellisisland.org

Arturo è molto giovane, pieno di entusiasmo per la nuova vita che l’attende, è euforico come tanti altri suoi compagni di avventura, da cui si distingue per una dote eccezionale: la sua voce, quasi celestiale!
Il suo piroscafo parte da Genova. Poche cose in una elegante valigia non legata con lo spago, a sottolineare i suoi decorosi natali. Saluta commossamene la madre ed il fratello che non rivedrà mai più vivi (Ansaldo, nel 1919, viene investito da una carrozza a cavalli ed ucciso e qualche anno più tardi morirà anche sua madre Maria)! 
La durata del viaggio è di 13/14 giorni e, come tutte le navi che battono tali rotte, dispongono di diverse sistemazioni per la traversata atlantica: 50 sono posti in Classe Lusso, 80 quelli di Prima Classe, 120 quelli di Seconda Classe e 1200 quelli per gli emigranti alloggiati in promiscui stanzoni gelidi, squallidi corridoi senza aria, stive sporche e nauseabonde. La traversata oceanica è il supplizio infernale di tutti gli emigranti!
Gli scali previsti si susseguono: Napoli, Palermo, Gibilterra ed, infine, Nuova York. 
Tredici/quattordici giorni da incubo che ti fanno arrivare all’altra parte del mondo stanco, affamato, debilitato. 
Arturo ha già deciso che si adatterà ai lavori più umili: cameriere, barista, imbianchino, muratore, manovale generico, addetto alle pulizie; lavori da emigranti, come allora erano definite tali occupazioni.
Grandi sacrifici per il sostentamento, fatica, nostalgia, rimpianti per una scelta di vita che sembra essere un interminabile baratro senza ritorno, lo accompagnano nei primi mesi.

La lirica è la sua passione ed i parenti americani che lo ospitano e che conoscono questa sua grande dote, lo iscrivono in un College per la formazione al canto lirico, dove studia recitazione, coreografia di scena, dizione, mimica (Arturo non ricordava con precisione il nome del College ma ricordava perfettamente la bianca divisa indossata dagli iscritti). 
La sua calda voce non passa inascoltata ed al termine di questo corso di formazione inizia ad interpretare ruoli minori in opere celebri. 
I piccoli guadagni nel campo artistico gli permettono di trascurare qualche impegno lavorativo e di dedicarsi alla sua futura professione di tenore.
Qualche sparuta esibizione canora nei locali di moda della capitale americana gli permettono di abituarsi al contatto con il pubblico.
I Teatri dell’Opera delle cittadine americane limitrofe alla Capitale diventano la sua palestra d’allenamento. Piace al pubblico (specie femminile), entusiasmanti i successi e poi… la grande occasione: 
in un importante Teatro lirico di New York, il principale interprete dell’Opera in programmazione ha un malore poco prima di andare in scena, non può cantare e per l’impresario si profila una vera e propria catastrofe artistica !
C’è gente importante che ha prenotato la rappresentazione, uomini che contano e che desiderano trascorrere una serata mondana e, poi… lo spettacolo deve continuare! 

E’ quasi sempre così: la sfortuna di alcuni, contribuisce, spesso, alla fortuna di altri.

L’impresario pensa ad Arturo Gervasi, una grande voce con poca esperienza, potrebbe tradirlo l’emozione, ma non ha scelta!

Neanche Arturo ha alternative: ora o mai più! E’ giunto il suo momento di gloria. Questo uomo minuto, dalla carnagione bianchissima come se fosse perennemente “incipriato”, sta per accollarsi una pesantissima responsabilità, sta scommettendo contro una sorte avversa, contro le privazioni, contro il pianto quotidiano della solitudine, contro un mondo che lo voleva sempre e solo emigrato, ma che ora lo accetta solo per necessità! 
Questo piccolo grande uomo si accinge ad affrontare, per la prima volta, il pubblico da protagonista: non può sbagliare, non può vanificare gli anni difficili vissuti, non può non sentirsi italiano e compagno di italiani, non può non pensare ai motivi, che gli avevano fatto lasciare un piccolo paese del viterbese, non può non far valere le sue innate capacità canore.

Arturo non sbagliò e fu un successo: la sua interpretazione risultò magistrale, il Teatro, in delirio, lo applaudì per un tempo lunghissimo, quasi interminabile. Arturo, in una sua timida uscita sul palcoscenico, mormorò, piangendo, solo un “grazie America”.

Quel successo lo rese famoso in tutti gli Stati Uniti ed il “New York Time” gli dedicò un articolo in prima pagina definendolo il “nuovo Caruso”. Si esibì in tutti i più famosi teatri diventando sempre più popolare e ricco. 

Frequentò i Circoli dell’Alta società Newyorchese, i politici importanti, la gente di spettacolo e conobbe Eduardo Cansino, famosissimo ballerino spagnolo, padre di Margarita Carmen Cansino, in arte Rita Hayworth, alla quale fu legato da tenera amicizia fino al 1946.
Conobbe, con probabilità, anche personaggi poco raccomandabili. In America regnava il Proibizionismo, Al Capone (Alphonse Gabriel Capone 1899 - 1946, noto come “Big Al”, di origine italiana e fanatico delle conoscenze importanti) è il re incontrastato della criminalità organizzata.

La popolarità di Arturo GERVASI crebbe ancora ed invase tutta l’America del Nord e l’America del Sud, cantò a New York, in molti Teatri lirici degli Stati Uniti, del Messico, di Rio de Janeiro, di Buenos Aires e Montevideo
Forse in una di queste sue “sortite” canore, in Argentina, conobbe Antonia (Dinda) Fornari (1892-1976) , figlia di agiati emigrati italiani, che sposerà il 01.05.1926 a Vignanello.

Nel 1920/21 conobbe Enrico Caruso e con lui si esibì al Metropolitan di New York. Negli anni compresi tra il 1924 ed il 1927 tornò in Italia varie volte, ma sempre da clandestino (non era rientrato in patria per la 1^ Guerra Mondiale e rischiava l’arresto), nel 1924 cantò al Teatro Quirino di Roma, nel 1925 al Teatro Rendano di Cosenza per la Stagione Lirica ed al Politeama Chiarella di Torino, nel 1926 al Teatro Carcano di Milano ed al Teatro Balbo di Torino, nel 1927 si esibì al Teatro Sociale di Biella ed al Teatro Adriano di Roma ( www.lavoceantica.it ).

Tornò ancora negli Stati Uniti, negli anni 1930 cantò con Beniamino Gigli e Tito Schipa considerati, con Enrico Caruso, i più grandi tenori del secolo; con essi si esibì in scena e fu lusingato per gli apprezzamenti che questi “grandi” gli riservarono.

Quello che colpiva, nelle interpretazioni di Arturo, era la naturalezza dell’espressione mimica, la leggerezza di movimento, la soavità della voce, la partecipazione dei sentimenti che l’autore di un’Opera desiderava trasmettere al pubblico per strappargli ora il pianto, ora la gioia. Arturo era bravissimo in questo: era un cantante ed un attore e per questo il pubblico l’amava.

Nel 1932 incise tre famosissimi brani su disco ( www.lavoceantica.it ):
dall’Andrea Chenier: Come un bel dì di Maggio  R 5313
dalla Fanciulla del West: Ch’ella mi creda            R 5313
da Pagliacci: O Colombina                                   HN 778

Nel film “Parigi Affascina: ovvero Malavita” Arturo Gervasi tenore e Tecla Rinaldi soprano interpretano due brani della colonna sonora: “I am jealous” e “Blue Eyes”. Cfr: Dizionario New York Film Accademy pag. 763 . ( www.NYFA.com

A metà degli anni quaranta Arturo tornò in Italia: prima a Roma dove vivevano i parenti della moglie e, con la morte di questa ultima avvenuta nel 1976, si trasferì a Vignanello. 
Stanco del successo e della vita mondana, uscì di scena e si ritirò nel suo paese natio utilizzando una piccola casa di proprietà, in Via San Rocco al civico 7, venduta poi parzialmente per sopraggiunti motivi economici. 
Usciva raramente. Quando ciò accadeva, si mostrava sempre elegantissimo: abito scuro (forse un po’ liso), camicia, cravatta, cappello, pipa ed immancabile scialle bianco che nascondeva quasi completamente il biancore del suo curato e profumato viso.
Aveva una voce squillante, “argentina” (come il nome di un paese delle sue fortune), un parlare quasi melodico, soave come un’interpretazione di scena. La sua andatura lenta e solenne mascherava la sua piccola figura di uomo; i suoi movimenti, i suoi gesti sembravano quelli abituali di una scena teatrale ripetuta e ripetuta più volte: faceva tenerezza il guardarlo.
Gli ultimi anni della sua vita furono particolarmente difficili. Dopo qualche anno dalla morte della moglie, Arturo ottantasettenne, cadde ancor più in depressione. Non aveva figli o parenti prossimi e questo lo fece sentire ancora più solo, inutile.
Fu accudito da qualche nipote acquisito fino al 1979; quando le attenzioni svanirono il nostro “eroe” venne accudito principalmente dal personale dei Servizi Sociali del Comune. 
Nel 1982, questo uomo che aveva fatto parlare di sé il mondo intero, in assoluta povertà, infermo, bisognoso di assistenza continua, fu ricoverato in una Casa di Riposo di Soriano nel Cimino da dove decise ancora di partire, di partire per il suo ultimo viaggio: era il giorno 19.03.1984 (Festa del Papà, una ricorrenza che non festeggiò mai), aveva 94 anni e la carnagione bianchissima di un neonato. 
Se ne andò senza clamore, ancora una volta solo; solo come era partito, quasi un secolo prima, per un altro viaggio: quello di uno strepitoso successo! 

Arturo GERVASI è stato sicuramente un grande personaggio. E’ stato un grande italiano ma, soprattutto, un celebre vignanellese. Nessuno gliene rese mai merito. 
Personalmente ritengo che il nostro paese un riconoscimento glielo dovrebbe: un riconoscimento banale, non l’intitolazione di una via (penso che lui, per modestia, non l’avrebbe voluto) ma, almeno, una foto ed il ricordo della sua professione andrebbero posti sulla sua tomba.

Cordialmente.

( tommaso.marini@tele2.it )

Vignanello, li 18 Aprile 2010


Fra questi attori si nasconde Arturo Gervasi...

Le foto sono state gentilmente messe a disposizione da Carla Pugliesi