23.03.11
...e per ogni mese, un Vignanellese
di Tommaso Marini

MARZO  2011

‘A TIGNA

(La Tigna, in lingua italiana)

 

PARTE III

ONOFRIO SBARRA
18 Giugno 1912 - 26 Agosto 2003

Onofrio Sbarra            Onofrio nasce a Vignanello il 18 Giugno 1912 da Tranquillo (1877 – 1947) e da Natili Bernardina (1891 – 1950), sposati anche civilmente nel 1915, prima che Tranquillo parta soldato per la Grande Guerra.

            Tranquillo Sbarra è figlio di Onofrio, che è figlio di Tranquillo, che è figlio di Onofrio, che è figlio di Tranquillo… è così dal 1592, come risulta dagli Atti del Consiglio Generale, che nell’elenco dei capifamiglia del 28.09.1952 citano già Tranquilla de Sbarra e Nofrio de Sbarra (Prof. Augusto Pacelli, Momenti di Storia Vignanellese, pag. 177).

 

            Onofrio (per i vignanellesi ‘Nofrio ‘e Tranquillo) sposa nel 1936 Gina Stefani e avrà due figli: Giuseppa nel 1937 e (nemmeno a dirlo!) Tranquillo nel 1944.

            La “classe del 1912” offrì alla Patria tanti anni di vita, ed anche Onofrio lo fece.

            Era un personaggio curioso Onofrio, curioso e simpatico. Frequentava il Bottegone e spesso ci si intratteneva ad ascoltare le sue idee. Raccontava di tutto e di tutti, raccontava di persone che non si conoscevano, raccontava della sua gioventù, raccontava della sua fede politica: era per il MSI ed ammiratore di Arturo Michelini, Giorgio Almirante, amico personale del Senatore Paolo Signorelli.

Tranquillo Sbarra (padre di Onofrio)            Era piacevole ascoltare Onofrio, era piacevole ascoltare i suoi personali modi “spiccioli” per risolvere i piccoli problemi del paese o i grandi problemi della nazione: era autore di esternazioni impossibili e proponeva la pena di morte per i responsabili di fatti e vicende contrari al comune senso di correttezza e convivenza (sarà stato un caso ma anche Fernando e Armando condividevano il suo modo particolare di risolvere i problemi).

            Aveva anche delle “uscite” incredibili, con affermazioni palesemente esagerate ma che si ostinava a difendere fino alla resa dell’avversario: assumeva uno sguardo cattivo, portava in avanti il labbro inferiore della bocca, espandeva vistosamente le narici e, alzando l’indice insisteva: “Chè nun ce credi? Jè comme te dico io!” Conoscendo Onofrio, era consigliabile cambiare argomento!

 

            Frequentava abitualmente il Bottegone anche Luigi Stefani (ragioniere e factotum della ex CO.VI.VI., ora Cantina Sociale) del quale Onofrio conosceva il nonno.

            Ogni tanto Onofrio ripeteva a Luigi: “I’ nonno tuo c’ea un sumaro (asino) ardo fino allassù!” E così dicendo, indicava una luce al neon fissata ad una parete del locale e molto prossima al soffitto.

            Conoscendo il soggetto, c’era sempre qualcuno pronto a contraddirlo: “E via ‘No’, fino allassù nun è possibile: comme facea a montà ?”

            Certo Onofrio, nell’indicare l’altezza, questa domanda non se l’era mai posta, ma questo non lo scoraggiava dal confermare la sua posizione: occhi sbarrati, labbro sporgente, narici divaricate: “Si ho detto, fino allassù, vordì che è fino allassù !” Fine della conversazione!

            Onofrio teneva, politicamente, per il MSI e non ne faceva mistero con nessuno. Nel corso di una consultazione elettorale si verificò una circostanza che ha dell’incredibile e che vale la pena ricordare.

            Le elezioni politiche, di cui si parlerà, si svolsero intorno alla metà degli anni settanta. Gli Scrutatori, come adesso, erano del paese, ma i Presidenti di sezione venivano da fuori e nominavano un Segretario tra i proposti dall’Ufficio Elettorale del Comune. Le votazioni si svolgevano in due diverse giornate, domenica e lunedì, poi al pomeriggio della seconda giornata si procedeva allo scrutinio.

            Al mattino del primo giorno di votazione Onofrio si recò presso l’edificio scolastico di Vignanello, sede dei Seggi elettorali, per esercitare il suo dovere/obbligo di elettore.

            Onofrio votava sempre alla mattina del primo giorno di consultazione per evitare, diceva lui, che la morte lo portasse via all’improvviso, prima di aver votato.

            Si recò al suo Seggio, presentò l’allora Certificato Elettorale, venne identificato dagli scrutatori e quindi il Presidente gli consegnò le due schede (Camera e Senato) e la regolamentare matita per la votazione.

            Onofrio, ricevuto il necessario, si ritirò in cabina.

            Si presentarono altri votanti, anche in numero rilevante, che effettuarono la loro operazione di voto e rapidamente uscirono dai locali, sede del seggio elettorale.

            Passava il tempo, ma di Onofrio non si aveva ancora notizia: si vedevano chiaramente i suoi piedi nella bassa feritoia della cabina elettorale, segno evidente della sua presenza, ma la sua operazione di voto non sembrava aver termine.

            Trascorse ancora altro tempo. Onofrio non accennava ad uscire e la cosa incominciava a preoccupare, anche per aspetti procedurali di votazione poiché il tempo necessario per esprimere il proprio voto non può essere infinito. Il Presidente decise di porre termine a tale inusuale modo di espressione di voto e, ad alta voce esclamò: “Signor Sbarra, ha bisogno d’aiuto? Va tutto bene?” “Ma che va bene, e va bene! Decchì nu’ va bene gnente, – rispose Onofrio uscendo dalla cabina elettorale con una scheda completamente aperta – da scheda qué ce manche ‘a fiamma! Che ve credevio che nu’ me n’accorgeo! Ma possibile che c’ete sempre fantasia de piglià per culo i cristiani? Eh, si c’era Bonanima!”

Onofrio Sbarra e Gina Stefani sposi            L’osservazione di Onofrio, che credeva di essere stato vittima di uno scherzo, generò il panico. Il Presidente controllò la scheda di votazione ed effettivamente non risultava stampato l’ultimo simbolo, posto in basso a destra, e che doveva raffigurare la Fiamma Tricolore MSI.

            Il fatto segnalato era estremamente grave, si prese contatto con la Prefettura per segnalare la cosa che avrebbe potuto comportare l’annullamento della votazione, qualora su altre schede si fosse riscontrata la stessa mancanza.

            Si controllarono immediatamente tutte le altre schede vidimate che risultarono regolari, si sperò che tale evento non fosse presente su altre schede votate, poi si consegnò una nuova scheda ad Onofrio per la votazione: operazione che, questa volta, si concluse in breve tempo e sul cui contenuto si poteva mettere la mano sul fuoco!

            Lo sfoglio del giorno successivo confermò la straordinarietà dell’evento: tutte le schede votate erano regolarmente stampate, l’unica scheda anomala delle circa tremila schede vidimate fu consegnata all’unica persona che “teneva” all’unico simbolo mancante.

            Quasi come vincere al superenalotto!

 

            L’invito a raccontare il fatto, da parte degli avventori del Bottegone, era un modo per trascorrere allegramente il pomeriggio. Lo sproloquio di Onofrio, testardamente convinto di un fallito tentativo di presa in giro, costituiva una vera e propria rappresentazione teatrale.

            Le modalità erano sempre le stesse, qualcuno gli si avvicinava e fingendo di non conoscere l’accaduto iniziava: “ ‘Nofrio, ricconta un po’ i’ fatto de’ ‘e votazioni! Me dicéno che nun ‘ei trovato ‘a Fiamma pe’ votà! Ma comm’è successo?” Era come gettare benzina sul fuoco! “Aho! M’ete proprio rotto li zebbedei co’ ‘sta storia, – rispondeva Onofrio quasi infastidito – ma nun c’ete addro da penzà?” Rimaneva un po’ in silenzio e poi, non potendosi trattenere, iniziava: “Mo te la ricconto pure da te, e po’ baste!” Onofrio sistemava meglio la sedia, assumeva la sua abituale smorfia facciale, occhi sbarrati, labbro inferiore prominente e narici divaricate, e iniziava: “Comm’è successo, comm’è successo! E’ successo che i pucini voleno portà a spasso i billi!”

            Il racconto, con dovizia di particolari, veniva snocciolato e coloritamente commentato per un intero pomeriggio.

 

            Altra circostanza eclatante di cui spesso Onofrio raccontava, volta fondamentalmente a sottolineare la poca efficienza degli impiegati pubblici (“Sarebbe da ‘mmazzalli tutti!” asseriva convinto Onofrio), era quella del giorno in cui si era recato a Viterbo, presso gli uffici dell’Inps, per richiedere informazioni circa la sua prossima pensione.

            Onofrio, da buon contadino, era abitudinariamente mattiniero e (“Si c’è da fa’ ‘na cosa, - diceva – prima se fa e meglio è!”) salito sul treno delle 07,10 per Viterbo si presentò all’ingresso della sede provinciale Inps alle ore 08,00.

            Purtroppo scoprì che l’orario degli sportelli per il pubblico era dalle ore 10,00 alle 13,00 e tale anomalia gli consentì, di buon ora, una prima discussione con l’usciere: “E chè se comince a lavorà alle 10? Noi villani a quell’ora ‘emo fatto mezza giornata!” disse Onofrio con quella sua voce dal tono litigioso. “Guardi signore – rispose cortesemente l’usciere – gli impiegati, fino alle 10,00, svolgono all’interno lavoro d’ufficio e poi ricevono il pubblico.” “Ah, allora secondo te – riprese Onofrio – io ‘rivo alle 08,00 e pe’ fa ‘na domanda ho da stà decchì, a grattamme, fino alle 10,00?”, “Vede signore – rispose ancora l’usciere – se lei avesse telefonato, avrebbe avuto informazioni ”. “Macché signore, e signore, io nun so’ signore – rispose Onofrio – è che c’ete poca fantasia de lavorà, e no i’ telefono pe’ sapè l’orario! Ce volea Bonanima, ce volea...!”

            Onofrio, già abbondantemente “caricato” da questo primo impatto, si sedette in attesa dell’ora di ricevimento ma senza nascondere, con gesti e mezze parole, il suo disappunto.

            All’ora fatidica Onofrio si alza dalla sedia e, ricevute indicazioni dall’usciere, si reca allo sportello “Pensione e Contributi”. L’impiegato non è ancora arrivato ed Onofrio è “una pentola in ebollizione”. Dopo una decina di minuti arriva l’addetto allo sportello e chiede: “Il signore desidera?”, “Me vorebbe informà de i contributi ‘e ‘a pensione – risponde Onofrio – perchè dovrebbe avé finito de pagà”, “Lei signore – riprende l’impiegato – che lavoro fa?”, “E che ho da fa – risponde Onofrio – i’ villano, i’ contadino”, “Ah, bene – risponde veloce l’impiegato – allora lei, signore, deve rivolgersi all’altro sportello – indicandone uno vuoto al suo fianco – dove avrà tutte le informazioni”, “Ma decchì nun c’è nessuno, – ribatte Onofrio con tono paziente – vedi un po’ si me po’ fa’ checcosa tu!” “Signore – replica l’addetto – non posso aiutarla ma vedrà che il collega arriverà subito. Lei si accomodi.”

            Onofrio si siede ed attende. Dopo un quarto d’ora arriva allo sportello un uomo, cerca qualcosa nei cassetti, ed Onofrio si avvicina e chiede “Vorebbe sapè de i contributi ‘e ‘a pensione” ma l’uomo non lo fa terminare: “No signore, io non lavoro qui. Tra poco verrà il collega addetto allo sportello. Lei si accomodi.”

            Onofrio si siede di malavoglia ed attende nervosamente. Trascorre ancora una mezz’ora ed un altro uomo si affaccia allo sportello. Onofrio si avvicina rapido e chiede: “Vorebbe sapè de i contributi pe’ ‘a pensione…” ma anche questo lo ferma dicendo che è di passaggio ed a breve sarebbe arrivato l’addetto allo sportello, invitandolo, nell’attesa, ad accomodarsi.

            Onofrio non riesce a sedersi, inizia un nervoso avanti e indietro nella stanza e nel corridoio attiguo cercando di calmare la sua rabbia. Trascorre ancora una mezz’ora ed un terzo uomo prende posto nello sportello “Pensioni e Contributi”. Onofrio si avvicina con aria infastidita, vorrebbe protestare ma poi per evitare conseguenze tace. “Il signore desiderà ?” Chiede l’impiegato giunto allo sportello. “Vorebbe sapé a che punto stò co’ i contributi de ‘a pensione. Perché, me pare che dovrebbe avé finito de pagà”, “Guardi signore, la ricerca è un po’ lunga, adesso è l’ora della colazione e scendo a prendere il caffè. Appena risalgo le darò tutte le informazioni che vuole. Lei si accomodi e mi aspetti.” “E va be’ – risponde Onofrio – spettémo un po’!”

            Dopo mezzogiorno arriva allo sportello un nuovo impiegato che rivolgendosi ad Onofrio dice: “Signore guardi, il mio collega ha avuto un contrattempo e non tornerà. Cercherò io di darle le informazioni richieste. Il signore desidera?” Onofrio quasi non riesce più a parlare per il nervosismo, con voce tremante d’odio riesce solo a dire: “M’ho da ‘nformà de i contributi pe’ ‘a pensione.” “Bene signore – risponde l’impiegato – il suo nome?” Onofrio non riesce a pronunciarlo perché lo squillo di un telefono lo interrompe. L’impiegato che ha davanti risponde e dopo aver ascoltato la chiamata dice: “Signore, mi scusi ma era il Direttore. Devo salire immediatamente, ma lei si accomodi e attenda, cercherò di fare al più presto.”                    

            Questo ultimo impiegato era stato talmente cortese che non dette ad Onofrio la possibilità di protestare. Si sedette borbottando e ribollendo come un “pignatto ‘e facioli davanti i’ foco”. Continuava a ripetere: “Pensa ‘n po’? C’hanno core de dì che ‘ttaccono a lavorà alle 10!”

            Il tempo trascorreva interminabile ed inesorabile. Alla rabbia per il tempo perso, ora si aggiungeva l’approssimarsi dell’ora di chiusura: Onofrio era al limite della sopportazione.  

            Quando, verso le 13, l’ennesimo impiegato si presentò allo sportello e, predisponendo per la chiusura, chiese: “Il signore desidera?” Onofrio non riuscì più a trattenersi: “Il signore desidera, il signore desidera… Un par’ de coglioni!” Ed alzando la voce seguitò: “E’ da sta mattina alle otto che me stete a piglià per culo! Ma che ve credete che ‘a gente c’ha i’ tempo da perde? Porca della matosca (non disse proprio così), nun so comme nu’ ve vergognéte! Ve faccio vedè io… a pigliavvela co’ ‘a gente che soffre!” Così dicendo Onofrio infilò la mano nella piccola feritoia della vetrata dello sportello con l’intento di afferrare al collo l’impiegato che, a sua volta, iniziò ad inveire contro Onofrio (“Esso ha da ringrazzià Dio – riferiva Onofrio parlando dell’impiegato – che da i’ buco c’ho potuto mette dentro a mano que’ – mostrando la sinistra – perché quest’addra è ‘mpedita. ‘Che si era quanno steo bene, lo chiappéo co’ i’ corbattino e lo tiréo fora da dietro i’ bancone!”).

            Come si concluse? Si concluse che il chiasso richiamò altri impiegati i quali messi al corrente del fatto, e soprattutto per evitare conseguenze disciplinari, si prestarono affinché Onofrio potesse avere tutte le informazioni del caso. Qualcuno disse anche che, se fosse salito prima avrebbe potuto contare su una totale collaborazione degli uffici. Questa osservazione stava quasi per scatenare l’ennesima protesta di Onofrio, il quale iniziò a ripercorrere l’intera mattinata, carico di nervosismo ed insofferenza. Un impiegato più anziano si scusò consegnandogli delle carte in merito alla questione richiesta e tutto finì, come si dice, in gloria!

            L’esclamazione finale di Onofrio (“Un par’ de coglioni!”, ndr) rimase per lungo tempo, in paese, la risposta più gettonata alla domanda: “Il signore desidera?”

 

Tanto per parlare di Tigna e di Tignosi !

 

            Desidero concludere questo racconto parlando di due insigni figure della categoria in questione, degni di essere citati per dovere di cronaca e per completezza d’informazione.

            Il primo esponente che, nell’immaginario collettivo, ha da sempre impersonato la categoria è il signor Mazzapidocchi!

            Il signor Mazzapidocchi non ha né età, né tempo, a riprova del fatto che è stato, è e sarà sempre attuale: come dire che Tigna e Tignosi sono esistiti, esistono ed esisteranno sempre!

            Chi fosse costui non ci è dato saperlo! Certo era il suo carattere: irascibile, critico, irremovibile, chiuso.

            A conferma del suo carattere intrattabile, si tramanda un modo di dire che classifica inequivocabilmente la categoria: “Si’ comme Mazzapidocchi: morìa ‘ffucato e ancò facea così!” (Mimando lo schiacciamento, fra di loro, delle unghie dei pollici. Gesto abituale di chi ammazza pulci e/o pidocchi). Espressione figurata per ribadire che, anche in punto di morte, tali soggetti mantengono le loro convinzioni.

 

            Il secondo che non posso escludere dalla categoria e che ricordo con affetto, fu un caro e simpatico amico valleranese: Giuseppe Manfredi (1930 – 2009), meglio conosciuto come “Peppe streppone” o, per l’appunto, “Peppe la tigna”.

            A confermare l’appropriata assegnazione del suo secondo soprannome, desidero raccontare un curioso fatto che si svolse, tanti e tanti anni fa, nei locali del Bar di Vittorio Pacelli, situato al Poggiolo di Vallerano. Il Bar del Poggiolo era un Bar come tanti altri, molte persone entravano per consumare un caffè o una bevanda, altre per rifornirsi di sigarette, altri ancora per trascorrere qualche ora in compagnia dei soliti avventori. Di questi ultimi faceva spesso parte il “nostro” Peppe, del quale tutti conoscevano il carattere ed il modo di pensare e con il quale era possibile, sollecitando un pretesto anche sciocco, trascorrere in modo divertente il restante pomeriggio.

 

            In uno di questi pomeriggi uno dei soliti amici buontemponi pensò bene di confrontare, in altezza, la statura di Peppe con quella di un’altra persona, palesemente più alta, sostenendo che, a ben guardare, Peppe era senz’altro più alto.

            I presenti, certi di assistere ad una storia da raccontare, non persero occasione per sostenere chi l’assurda ipotesi e chi l’esatto contrario. Qualcuno sosteneva che Peppe risultava più basso ma per il solo motivo di calzare scarpe senza tacco: si propose pertanto un confronto “a piedi nudi”, confronto da cui Peppe uscì sconfitto. Qualche altro osservò che Peppe dava l’impressione di essere più basso ma solo perché il suo antagonista aveva i capelli molto gonfi sulla testa. Insomma si cercava in tutti i modi di sostenere l’insostenibile e anche Peppe, confortato da una artefatta maggioranza, si era convinto delle sua superiore altezza.

            Peppe se ne era talmente convinto che tutte le persone estranee alla contesa e che si fermavano in quel Bar venivano da lui interpellate in veste di giudici della “tenzone”. Alcuni, imbeccati, sostenevano Peppe ed altri, costatando il vero, sostenevano la controparte.

            Fortuna (o sfortuna, chissà!) volle che entrasse, proprio nel vivo dei giudizi di merito, il prof. Osvaldo (Ottaviano) Ercoli, insigne docente di matematica del Liceo Scientifico “P. Ruffini” di Viterbo e persona ritenuta da tutti molto seria ed equilibrata nei giudizi. Per tutti, Peppe compreso, costituiva il giudice “super Partes” a cui ci si doveva affidare! Alcune persone si avvicinarono al Prof. Ottaviano cercando di spiegare brevemente la diatriba, pregandolo di dipanare il dubbio ed emettere un giudizio definitivo. Il prof. Ercoli, conoscendo la suscettibilità di Peppe, cercò di declinare l’incarico, ma l’insistenza dei presenti lo convinsero ad esporsi per un giudizio. Ottaviano prese la cosa un po’ alla lontana dicendo che poteva dare solo un valutazione approssimativa vista la mancanza di uno strumento di misura, disse che la “postura curva” di Peppe ingannava l’occhio, disse delle scarpe, del pavimento, del tempo, della temperatura, disse… di tutto, insomma per “indorare la pillola” e preparare i contendenti al giudizio.

            Quando al momento del responso decretò la sconfitta di Peppe, si scatenò l’inferno. Peppe deluso, inveì contro il prof. Ercoli tacciandolo di incapacità, fu trattenuto a stento dai presenti che impedirono pericolose reazioni nei confronti di chi sosteneva il giudizio del prof. Ercoli e poi, dopo lungo vociare si rivolse al contendente esclamando: “Mbe, sa che tte ddico? Sarà più addo tu… ma so’ più addo io!” Imboccò la porta del Bar e non si rivide per il resto della settimana.

 

            Il Bar di Vittorio Pacelli al Poggiolo di Valleranno era un luogo molto singolare, pieno di personaggi simpatici e curiosi, compreso il padre di Vittorio, Ludovico Pacelli.

            Ludovico, alla richiesta di un automobilista di passaggio circa la strada da percorrere per recarsi a Fabrica di Roma, anziché dare l’indicazione rispose con un’altra impensabile domanda: “E che cosa devi andare a fare a Fabbrica di Roma?”

           

            Ciao a tutti e, speriamo, alla prossima….

 

Vignanello, li 23 Marzo 2011

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