28.11.11

IGINO PACELLI
25.4.1919 - 16.11.2011
Un Valleranese di Vignanello

di Tommaso Marini

 

            Il mattino del 16 novembre, in Vallerano, si è spento Igino Pacelli, un lucidissimo e simpatico conversatore novantaduenne vignanellese.

            Il suo nome, per chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, non dice gran che ma per chi questa fortuna l’ha avuta sarà piacevole ricordarlo, ricordarlo per far conoscere ad altri i tratti del suo carattere, delle sue passioni, della sua disponibilità, della sua storia e dei suoi ricordi.

A lato: Una foto di Igino nel 2000

            Devo confessare che, fino ad agosto di quest’anno, di questa famiglia Pacelli conoscevo solo Onorio, suo figlio, nato anch’esso a Vignanello nel 1950. Onorio è una persona cordialissima e straordinaria per le capacità interpretative dimostrate nell’imitazione di caratteristici personaggi valleranesi e vignanellesi, personaggi che riesce a penetrare, fedelmente, in tutto: intercalare, gesti e movenze come un “consumato attore”.

            La conoscenza di Igino avvenne in modo del tutto casuale. Ero in cerca di persone che potessero avere ricordo di quanto successo a Vignanello negli anni 1943 – 1945 per una rivisitazione di quei tristi anni di guerra e dopoguerra.

            Mario Mariani, mio cognato e medico di Vallerano, mi parlò di Igino [a lato, in una foto del '66] e di quello che da lui apprendeva su fatti e personaggi vignanellesi circa quel periodo e di circostanza successive. Mi riferiva della lucidità e della chiarezza delle informazioni, dei curiosi fatti e avvenimenti raccontati, di personaggi vignanellesi citati per soprannome e, soprattutto, dell’amicizia che lo legava a mio padre Caio, del quale ricordava perfettamente la professione, la composizione della piccola bottega artigiana di cui era titolare, delle persone (per lo più cacciatori) che si assembravano, fino all’impossibile, in quel piccolo locale. Persone che successivamente citò ancora ricordandone il nome e soprannome: Cencio Bussanti (Vincenzo Pacelli 1909-1967), ‘Ntonio Boccione (Antonio Chiricozzi 1909-1983), Angelo Boccione (Angelo Chiricozzi 1919-2001), ‘Ntonio i’ porchettaro (Antonio Martiri 1910-1988), Mario ‘e Bastiano (Mario Testa 1925-2008), Ezio Mastichino (Ezio Chiricozzi 1908-1960), anche lui sarto con laboratorio poco distante da quello di mio padre. Igino ricordava anche mio nonno Romolo e mio zio Nino, anch’essi sarti come mio padre.

            I racconti che ascoltavo mi incuriosivano sempre più, così chiesi a mio cognato Mario di poter conoscere questo straordinario personaggio.

            Facemmo visita ad Igino il 4 agosto. All’epoca Igino soffriva di difficoltà di respirazione e trascorreva gran parte della giornata al letto. Qualche giorno prima mio cognato lo avvertì della nostra visita e ne fu molto contento. Quando il figlio Onorio confermò il giorno dell’incontro dicendo: “Oh ba’, oggi viene in dott. Mariani.” “Che viene anche Marini?” replicò Igino. Alla risposta affermativa, concluse: “Allora me voglio alza’ dal letto!”.

            Lo trovammo in maniche di camicia, barba rasata e pronto per la conversazione (lui la riteneva, certamente, un’interrogazione!). Chiese se volevamo spostarci in altro ambiente, come si fa per le persone di riguardo, ma preferimmo rimanere in cucina.

            Rimasi sconcertato da quella ufficialità che voleva dare a quell’evento. Era seduto al tavolo con al fianco destro sua moglie Ilva, indicò a me la sedia di fronte e a mio cognato la sedia alla sua sinistra. Rimasi emotivamente colpito dallo sguardo quasi estasiato che a lui rivolgeva la moglie: dai suoi occhi traspariva ancora un amore immutato, una dedizione sconfinata. Ilva, una donna minuta, attempata, ma dolcissima. Un singolare “quadretto affettivo” che rimarrà per sempre tra i miei più cari ricordi.

            Igino, un po’ affaticato, si aiutava nella respirazione indossando una mascherina per l’ossigeno ma la sua postura era eretta ed il viso rivolto ora a me, ora a Mario, per avvertire che era pronto alla “intervista”, come definimmo poi quell’incontro.

Igino e Ilva, nel 1949 (sopra) e nel 2007 (sotto) con la pronipote.

            Ascoltava le domande ad occhi socchiusi e rispondeva con una precisione, una chiarezza sconvolgente. Apriva gli occhi per brevi intervalli, come appesantito dalla stanchezza, ma continuava sottovoce la sua esposizione dei fatti (i cinque anni di odissea militare), le circostanze che lo avevano segnato (le operazioni di guerra vissute), i dispiaceri patiti (la morte del fratello per mano tedesca).

            Poi le passioni (la musica, l’opera lirica, il calcio), la famiglia (fidanzamento con Ilva Pacelli nel 1941, il matrimonio nel 1949 e la nascita di Onorio nel 1950), il lavoro (a Roma dal 1965 al 1979), il rientro definitivo a Vallerano (al momento della pensione), la cura ed il mantenimento del suo terreno (collocato in territorio vignanellese, zona Pietrolopo - i’ Pormoneto - ’a macchia ‘e Brando).


Igino (a destra) e Onorio (il piccolino vestito di bianco)

            Ascoltava qualche ripetizione o ricostruzione fatta da noi ascoltatori e poi, sempre ad occhi socchiusi, precisava nomi, soprannomi, località che non avevamo ben interpretato o ben capito.

            Anche il suo dialetto mi colpì: terminologia ed intercalare ancora in perfetto vignanellese!

            Igino raccontò moltissime cose ma solo dietro nostra sollecitazione. Non voleva raccontare di sé, non voleva essere l’attore protagonista, ma aveva piacere e voglia di parlare e noi, del resto, eravamo venuti con l’intenzione di ascoltarlo.

            Desidero farvi partecipi dei tanti fatti narrati iniziando, come fece lui, dalla richiesta, obbligata dal Maggiore Cagnetti, a svolgere il servizio militare nella Regia Aeronautica e del continuo girovagare che durò per l’intero servizio militare.

             Riscrivo il suo Foglio Matricolare e Caratteristico, che riporta in prima pagina questa notazione:

            “Ha partecipato ad operazioni di guerra alla frontiera “Alpino-Orientale”; nel “Mediterraneo”; in “Sardegna”; è appartenuto durante la Guerra di Liberazione ad Enti mobilitati ed in zona di Operazione.

            “Guerra 1940 -1945: Ha diritto al computo di N. Una Campagna di Guerra, ai sensi dell’art. 2 della legge 24.4.1950 N. 390”.

            Poi l’elenco delle località conosciute durante il prolungato servizio:

-          arruolato con la classe 1918 e lasciato in congedo illimitato, giugno 1938;

-          giunto a Roma Centocelle come aviere nella R. Aeronautica, maggio 1939;

-          centro addestramento di Milano, maggio 1939;

-          aeroporto L. Baito di Gallarate, giugno 1939;

-          mobilitato in territorio di guerra, giugno 1940;

-          trattenuto alle armi per esigenze di carattere eccezionale, novembre 1940;

-          aeroporto Cadimare di La Spezia, dicembre 1942;

-          aeroporto di Chilivani di Olbia, agosto 1943;

-          Reparto Presidiario di Cagliari, novembre 1943;

-          1° Reg.to Avieri di Bari, agosto 1944;

-          collocato in congedo illimitato, agosto 1944.

             

            Cinque anni e due mesi di gioventù, di vita, di paure offerti alla Patria con un’unica ricompensa economica: la somma lorda di Lit. 294, quale importo di n. 30 giorni di Licenza non usufruiti nel periodo 10.6.1940 – 9.6.1941, elargita dall’Ufficio Amministrativo dell’Aeroporto di Malpensa in data 18.10.1941 (anch’essa riportata sul Foglio Matricolare).

            Il 11 Agosto 1944 giunge a Roma. A Piazzale Flaminio, dove attende il treno della Roma Nord che lo riporterà a casa (Igino risiedeva a Vignanello in Via San Rocco n. 4, in corrispondenza dell’attuale palazzo della Pasticceria Piermartini), apprende la dolorosa notizia della morte del fratello Onorio (1906-1944) ucciso per rappresaglia tedesca un mese prima. La apprende da una donna vignanellese ’a Marietta ‘e Giggella, ricorda lui, madre di Emilio Santi residente a Vallerano. Igino, che ignorava la notizia, non ebbe neanche l’opportunità di sfogarsi con il pianto: salì sul treno e, sconvolto, partì per Vignanello.

Seppe solo successivamente i fatti relativi alla morte del fratello: fatalità e tragedia!

Così riassumo il raccontò dell’evento. Dall’arrivo in paese delle truppe tedesche, dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, contro i giovani e gli uomini in età lavorativa, e quindi possibili soldati, si era scatenata una vera e propria “caccia all’uomo”. Le cantine di tufo, numerosissime all’epoca, proteggevano dai bombardamenti e dalle pericolose ricerche. Onorio si era dato “alla macchia”, come tutti gli uomini di Vignanello, per evitare la cattura e la deportazione nei campi di lavoro germanici. Durante il giorno si vagava per i campi in cerca di cibo, di notte si faceva visita ai famigliari per tranquillizzarli circa lo stato di salute.

            L’8 giugno del 1944, al mattino, Onorio venne “fermato”, insieme ai fratelli Buzi (Gioacchino 1915-1986, Armando 1917-1994 ed Elio 1920-2006) in Località Piancisali e tutti vennero condotti, sotto la minaccia delle armi, verso Vignanello. I militari tedeschi che avevano operato il “fermo” si dimostrarono abbastanza tolleranti ed Onorio, durante il percorso, trovò l’opportunità per fuggire.

            Non lo seguirono i fratelli Buzi che, giunti in prossimità della Costa dei Frati, vennero lasciati liberi dai tedeschi, raggiunti dall’ordine di ritirasi immediatamente verso Orte a causa dell’imminente arrivo delle truppe Alleate.

            Gioacchino, Armando ed Elio fecero ritorno a casa mentre Onorio correva, ancora fuggitivo.

            Il cadavere di Onorio fu trovato il giorno successivo, in Località Pareti: era disteso ai piedi di un albero di ciliegie, con ancora in bocca uno di quei dolci frutti consumati per la colazione.

            Raccontò ancora qualche altra circostanza della rappresaglia nazista del giugno 1944 ma i fatti, ripeteva, li conosceva solo per “sentito dire”. Una cosa volle ricordare: lo strazio della madre, Caterina Ceccarelli, quando con una “carriola” andò a riprendere il corpo senza vita del figlio Onorio per dargli degna sepoltura.

            Lo raccontava e gli occhi divennero improvvisamente lucidi. Cambiò rapidamente argomento per celare la commozione dovuta al rinnovato dolore.

            Per sdrammatizzare raccontò di un curioso incarico affidatogli dal “Sig. Colonnello…” (del quale precisa il cognome che preferisco omettere per riservatezza) relativo alla consegna, a Rignano Flaminio, di un pacco destinato ad una signora con cui l’Ufficiale intratteneva una relazione segreta. La consegna, per l’assenza di lei, avvenne fatta al marito (forse al corrente della tresca!). Quando la signora fece ritorno a casa incontrò i due uomini che scendevano le scale. Appresa la notizia del “presente” appena ricevuto, la donna chiese ad Igino se gli era stato offerto qualcosa in segno di ringraziamento ed Igino, candidamente, rispose in senso negativo. Si scatenò l’inferno: la moglie rifilò un sonoro ceffone al marito scusandosi per il malfatto, mentre Igino, colto di sorpresa, cercava di proteggere l’uomo dicendo alla moglie che non era da prendersela tanto per la patita negligenza (durante il racconto, però, non riusciva a trattenere lo stesso sarcastico sorriso che era sicuramente stampato sulla sua faccia anche al momento dei fatti). “Una situazione comica !”, ripeteva Igino.

            Raccontò anche di Arturo Gervasi, il tenore, della sua bravura, della sua carriera, dei suoi continui litigi con la moglie, invidiosa del successo e della celebrità del consorte e gelosa delle frequentazioni femminili di quest’ultimo.

            Ricordava che Arturo Gervasi, tornato ricco e famoso dall’America, aveva cantato al Motropolitan di New York. “The New York Times, nel 1924, definiva Arturo il “nuovo Caruso”; era amico di Rita Hayworth (1918–1987), di Gregory Peck (1916–2003), di Al Capone (1899–1947), di uomini d’affari e politici americani; si esibì in Canada, in Sud America riscuotendo sempre grande successo.

            In Italia Arturo Gervasi cantò a Milano, Torino, Parma e Roma. Igino conosceva Arturo che abitava, a Vignanello, in un palazzetto vicinissimo a casa sua. Questa vicinanza, la passione per musica e per il canto gli dettero l’opportunità di ascoltarlo cantare a Roma dove, con Renzo Grattarola (1922-2006) altro appassionato di lirica, si recava in “Vespa” per ascoltarlo. Al teatro dell’Opera, alle Terme di Caracalla o in ogni altro Teatro romano dove Arturo si esibiva.

            Renzo ed Igino partivano da Vignanello appena pranzato, salivano sullo “scooter” di Renzo con il quale giungevano a Roma. Ascoltavano l’Opera e, molto tardi, ritornavano a casa (Igino ricorda che si imbottivano, con giornali, la schiena ed il torace per riparasi dal freddo pungente della notte).

            Qualche sortita a Roma avveniva anche per assistere alla Partita domenicale della Lazio, la squadra di calcio per la quale entrambi tenevano.

            Di Arturo Gervasi raccontava ancora che, in occasione di una importante rappresentazione canora, si trovava in dissapori con la moglie Antonia (Dinda). Questa, per dispiacere il marito e contrariarlo, pagò un consistente numero di persone perché si recassero in Teatro a “fischiarlo” mentre si esibiva. Questi “claquers al contrario” disturbarono per l’intera rappresentazione.

            Raccontava, inoltre, di quante volte don Manfredo Manfredi si servisse della splendida voce di Arturo Gervasi in occasione di matrimoni o importanti celebrazioni eucaristiche che si svolgevano nel Santurio della Madonna del Ruscello, lasciandogli anche l’organizzazione della musica e del coro.

            Nel 1949, il 19 febbraio, Igino si unisce in matrimonio con Ilva Pacelli di Vallerano. Nel 1950 nasce il primo ed unico figlio Onorio, Onorio come suo fratello, barbaramente ucciso dai tedeschi, senza pietà, senza alcun conforto.

Igino, Ilva e Onorio ai giardini di Vignanello

Igino risiede a Vignanello fino al 1965, poi a Roma fino al 1979 quando rientra definitivamente e stabilmente a Vallerano. Non perde le sue amicizie vignanellesi, ma ne acquista altre e numerose a Vallerano. Non poteva non essere che così: il suo parlare, il suo raccontare, il suo consigliare, senza mai offendere o eccedere nei giudizi, lo facevano rimanere nel cuore delle persone, la sua sconfinata disponibilità costituiva un valido elemento di legame ed amicizia.

            Racconta suo figlio Onorio, presente all’incontro del 4 agosto per espressa volontà del padre, che da qualche tempo si adoperava in ogni modo per farlo bere onde evitare una possibile disidratazione. In uno di questi tentativi cercò di invogliarlo dicendogli che l’acqua di cui disponeva era stata prelevata “da ‘a Funtana a Pietra”, una sorgente che si trova nei luoghi dove Igino possedeva un noccioleto, e donatagli, espressamente per lui, da un confinante di cui non ricordava il nome ma che sapeva proprietario, in loco, di un curatissimo orto. Igino, disteso sul letto, con gli occhi chiusi e la mascherina dell’ossigeno che gli rendeva difficile la parola, si tolse con qualche difficoltà la mascherina e, rivolto ad Onorio, sentenziò: “Sarà stato Romolo i’ ciotolo !”. Bevvè con soddisfazione e, rimessa la mascherina, si assopì.

             Igino Pacelli era nato a Vignanello il 25 Aprile 1919, da Nazzareno (1869-1924) e Caterina Ceccarelli (1882 – 1969), era il quarto di sei fratelli: Andrea (1902), Onorio (1906), Francesco (1909), Giovanni (1920), Corintia (1922).

   Nazzareno Pacelli                         Caterina Ceccarelli

            Muore il 16 novembre 2011, esattamente un anno dopo la morte di don Luigi (1922-2010) che conosceva e stimava.

Cosa dire ancora? Una cosa, per la verità, debbo confessarla. La sua dipartita è stata, per me, causa di due contrastanti sensazioni: il piacere della conoscenza e lo sconforto di aver avuto questa opportunità troppo tardi.

            Del racconto mi auguro solo di averlo fatto con precisione ed accortezza, di averlo svolto, come diceva Igino per le cose da fare con cura, in “si bemolle!”.

            Ciao Igino, ti porterò con affetto nel mio cuore.

Vignanello, li 28 novembre 2011

              Tommaso Marini