24.08.10
A Vignanello non ci sono più vigneti
di Francesco Crocebella

“A Ottobre la taglio tutta” – “ I vino nun conviene più, taglio la vigna perché non rende più” frasi che ho intese frequentemente negli ultimi anni e che a guardar bene hanno provocato la scomparsa della quasi totalità delle vigne nel panorama vignanellese. Se poi andate sulla faggeta e date uno sguardo verso la vallata del Tevere si vede solamente una macchia di verde scuro: i noccioleti.

Ma è mai possibile che nessuna autorità, associazione, cooperativa può mettere fine alla distruzione di una coltura che ha fatto crescere il nostro paese, lo ha fatto nel suo piccolo diventare importante fino al riconoscimento del vino in Denominazione di Origine Controllata? E’ mai possibile che nessuno sa spiegare che una volta tagliata la vigna non si può più reimpiantare?

Il vino fa parte del nostro Dna, della nostra vita, del nostro modo di pensare, di dire, di fare: ho negli orecchi ancora il tic/tac dei torchi di fronte casa, ho negli occhi la fila interminabile dei trattori che portavano l’uva in cantina sociale, ho perfino il ricordo dei vignanellesi che alla Storta facevano la fila per pagare il dazio.

Perché cancellare tutto questo? In altre zone dell’Italia il vino è diventato il mezzo per eccellenza per lo sviluppo del territorio e di alcune economie: lo stiamo cancellando dalla nostra terra, dalla nostra cultura, dal nostro modo di essere.

Una volta a Vignanello c’era un ristorante, sopra il Bar di Andrea da 'a Valle, che si chiamava “Il Grappolo”, il poeta romano Belli ricordava Vignanello per il suo vino bianco e così altri poeti hanno declamato la bontà del nostro vino. Nessuno vuol tornare, anche se si aprisse qualche cantina non sarebbe male, a come si faceva il vino una volta, ma rilanciare il nostro prodotto, farlo conoscere, legarlo, perché no, anche alle nocciole e ai suoi prodotti credo che farebbe solo bene alla nostra economia sempre più monoculturale.

Ieri sono andato, dato che vivo nelle Marche, a Loro Piceno alla Festa del Vino Cotto: tanta gente in fila per vedere come era fatta una cantina, un torchio, una botte; delle cantine allestite di tutto punto per accogliere i turisti nel miglior modo possibile (e le nostre perché stanno tutte chiuse alcune perfino murate come se ci dovessimo vergognare di averle?) Tutti si sono portati a casa un ricordo del piccolo paese marchigiano. Una festa ben organizzata per un prodotto di nicchia che ha rilanciato quel paese in tutto il centro Italia.

Noi abbiamo un vino a Denominazione di Origine Controllata che potrebbe essere un buon volano per la nostra economia: una enoteca, una cantina aperta, un negozio di cocci con su scritto “Vignanello” potrebbero dare qualche posto di lavoro, dare un’altra immagine del nostro paese e dare speranza a quei pochi agricoltori che ancora curano delle vigne ed il loro vino. 

Credo che è dovere di tutti noi fare qualcosa per salvare il nostro vino perché è la nostra storia e la nostra vita: non per niente il nostro paese si chiama “VIGNANELLO”.

Con viva cordialità.

- Francesco Crocebella -