24.03.10
Lettera aperta ai cacciatori vignanellesi e non
(perché scattare una foto è meglio che premere il grilletto)
di Daniele Quadraccia

Cari cacciatori, scrivo questa lettera a tutti voi per convincervi e dimostrarvi che un animale in più ucciso non è un vanto da mostrare agli altri cacciatori fuori il Bar della Stazione o sotto il garage; un animale ucciso è una creatura in meno nella lista sempre più corta del Creato.

Direte voi: “Ma che ce vole raccontà questo? Lo so che quanno sparo ammazzo l’animali, però me PIACE”. Ecco mi soffermerei su quest’ultima parola: il piacere di sparare. Credo che sia impenetrabile quanto il mistero dell’Universo capire perché un uomo si diletti nello sparare ad un essere vivente e deciderne così della vita o della morte, anteponendo il proprio gusto al giudizio divino. Un peccato di ubris, come lo definirebbero o greci. Ma sono convinto che anche il bracconiere più spietato (e da noi ce ne sono più di quanti si possano immaginare) provi compassione nel raccogliere da terra quel corpicino caldo con gli occhi fucilati, occhi che fino a pochi secondi prima avevano un orizzonte da seguire, un compagno da incontrare, un nido da proteggere. E’ proprio su questo sentimento che voglio far leva, per spingervi a meditare su quante vite avete spezzato fino ad ora, e su quante possiate ancora salvarne decidendo di appendere al chiodo la vostra doppietta. 

In più con questi tempi di magra, chi ve lo fa fare a uscire la mattina presto col freddo e l’umidità, preparare tutto l’armamentario e stare fermi ore e ore per poi portare a casa se va bene uno o due trofei? Non potete di certo aprire il vostro portabagagli per mostrare orgogliosi agli altri quella miseria… Dovete trovare una soluzione diversa.

Se poi ci mettete il senso di colpa per aver tolto del tempo da dedicare alle vostre famiglie,con vostra moglie che ve le dice di tutti i colori la domenica a pranzo, quel senso di spossatezza e lo stress che ne consegue, vedrete che “è più la spesa che l’impresa”.
Merlo

A questo punto qualche cacciatore un po’ più intelligente (e ce ne sono molti meno di quanti possiate credere) riconoscerà che non ho torto, ma obietterà: “Io vado a caccia non solo per ammazzare animali, ma per stare insieme con gli amici, per staccare un po’. Se non andassi a caccia non saprei più come divertirmi”. 

Ecco che entra in gioco la fotografia. Perché non provare a convertire fucili e cartucce con reflex e rullini (o schede di memoria)? Le analogie tra la caccia e la fotografia naturalistica sono evidenti: in entrambi i casi ci si deve avvicinare il più possibile all’animale, spiarlo, stanarlo. Bisogna prendere bene la mira e, quando si è pronti, premere. Si usa perfino lo stesso dito, che compie un movimento analogo in entrambi i casi.

E i vantaggi? Innanzitutto quello economico: con la stessa spesa per fucili, cartucce, licenze, porto d’armi, attrezzature varie più o meno lecite si possono tranquillamente comprare ottime reflex e super teleobiettivi.

Inoltre con la vostra macchina fotografica potrete “cacciare” tutto l’anno, nessun guardiacaccia potrà impedirvelo. Non sarete così costretti ad andare in giro di notte col faro a caccia chiusa rischiando grosso. E poi non ci sono aree protette: il mondo è il vostro safari. 

Volete mettere a confronto la difficoltà di fare una bella foto con quella di sparare? Quando si imbraccia il fucile, non importa dove si colpisce la preda: di fronte, da sotto, sul ventre, da tergo; l’importante è colpirla. Invece ci vuole molta più arte nel trovare la giusta posizione da cui scattare: un animale immortalato da dietro non è la stessa cosa che di fronte. 

Cari cacciatori, vi ho scritto questa lettera a stagione chiusa appositamente per lasciarvi riflettere qualche mese. E’ entrata la primavera; fatevi un giro per le nostre campagne, osservate gli uccelli che svolazzano beati, ascoltate i loro canti. Forse solo in questo modo riuscirete a capire che scattate una foto è meglio che premere il grilletto.


Poiana (foto A. Cambone, R. Isotti - Homo Ambiens)