07.04.08

Beijing 2008 
“Chi è sotto il pollice di un altro, non ha riposo neanche quando sogna”

Avevo deciso di non partecipare alle discussioni della campagna elettorale, per motivi di par condicio, e cosi sarà. 
Ma c’è un argomento, che esula dal quel contesto, di grossa attualità e che sta occupando grandi spazi sugli organi di informazione, del quale non si può fare a meno di parlarne, visto la sua globalità: le Olimpiadi di Pechino 2008. 

Quello che si sta verificando in questi giorni, con manifestazioni pro Tibet e a favore del boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino, con conseguenti azioni di protesta sfociate anche in scontri tra i cittadini e le forze dell’ordine, non solo in Cina ma anche in altre parti del mondo, ci deve far riflettere. E non sul boicottaggio o meno dei Giochi, ma sulle responsabilità di questi disordini e contestazioni, sull’origine di tutta questa situazione di malessere, che investe dal di dentro anche e soprattutto i diretti interessati: gli atleti. Ma per ricercarle, queste responsabilità, dobbiamo guardare altrove, andare all’indietro nel tempo, al fatto che “Beijing 2008” non è “caduto” dal cielo casualmente, ma è stato prescelto fra tante altre città. E la scelta è scaturita dall’assemblea CIO, comitato olimpico internazionale, circa tre anni fa.

La cultura poco democratica che vige in Cina è cosa risaputa. A cominciare dall’informazione drogata, dai diritti civili inesistenti alla pena capitale, dal traffico minorile al boom economico raggiunto in brevissimo tempo dietro il massimo sfruttamento del lavoro dell’uomo, o al fatto che Pechino sia una delle città più inquinate al mondo. Non è questione di queste ore o questi giorni, ma è una tendenza di fasi evolutive pregresse, che è in atto da anni e anni. 
Quindi, quando nell’ultima assemblea CIO, una delle due candidature rimaste in gioco era Pechino, dopo una serie di assemblee che di volta in volta facevano “scrematura” dei Paesi in lizza per ospitare le Olimpiadi, già quello fu un errore. La Cina non doveva arrivare nelle urne come Paese finalista.

Ma si sa, i membri CIO sono uomini e donne fatti in carne ed ossa, e come è noto, la carne è debole, e non solo la carne ma anche le porte dei conti in banca, e così i 115 rappresentanti CIO ( l’Italia ha 5 rappresentanti di cui 2, Pescante e Cinquanta, nell’esecutivo), uomini e donne, di sicuro non avranno resistito alle tentazioni – la Cina, è uno dei paesi al mondo dove la corruzione è pratica comunissima e normalissima anche per le cose dovute -, e probabilmente si saranno fatti trasportare dal grosso giro di affari, dal fiume di sponsor, dal vento delle multinazionali, dall’immenso circuito di dollari e euro per costruzioni e ricostruzioni, che producono mazzette e arricchimenti facili. Che altro potevano fare poveretti, quelli che avevano espresso voto favorevole per Pechino, andare controcorrente?
Alla faccia della mancanza dei diritti civili ed etici di quel Paese. E che ci vivono i membri CIO in Cina?

Qualche giorno fa il presidente del Coni, Gianni Petrucci, in un intervista dichiarava, in sintesi, che lo Sport sta fuori dalle beghe politiche (salvo poi chiedere senatori a vita per meriti sportivi), che gli atleti si preparano da quattro anni e che devono essere presenti ai suddetti Giochi, ad ogni costo e al di sopra della politica e dei conflitti. 
A prescindere dallo sfruttamento minorile, dal massacro dei monaci tibetani, dalla pena di morte, dai mass media che non avranno vita facile a presenziare l’evento sportivo, e via dicendo.
Bisognerebbe rammentare a Petrucci lo spirito che anima i Giochi a 5 Cerchi.

Un saluto “caloroso”
Il Demoniaccio