19.08.07
La risposta dovuta

parte I

“Riguardo al personaggio Aleso mi è sufficiente riportare alcune delle infinite citazioni storiche [ Ovidio, Amores. III, xii, 31 sgg.; Fa. IV, 73 sg.; Virgilio, Aen. VII, 723; Servio, ad Aen. VII, 695. cfr. DEECKE, 14 sg.; De SANCTIS, Storia dei Romani, I, 106 sg.; PETTAZZONI, St. Etr. XIV, 1940, 170 sg.; TORELLI, 34 sgg.]. Per il resto cerchiamo di arrivarci per gradi.

Molti studiosi affermano, basandosi su varie testimonianze storiche, che la datazione della famosa guerra di Troia possa essere fissata intorno al 1250 a .C. Data confermata dalle ricerche condotte dallo Schliemann sull’antica città di Troia. I nove livelli sovrapposti rinvenuti, indicano varie epoche successive e sono stati datati con l'ausilio dell'analisi degli oggetti rinvenuti (isotopo C14). Dall'esame delle tecniche costruttive utilizzate, è stato possibile delineare le piante delle ricostruzioni. Nel VII strato, databile 1250 - 1200 a .C., è possibile rilevare che la città precedente fu immediatamente ricostruita, ma ebbe vita breve. I segni di distruzione da incendio hanno indotto Blegen ad identificare questo strato come quello corrispondente alla Troia narrata nel poema omerico. La giustezza delle datazioni è confermata da Dionigi d’Alicarnasso, che in uno dei suoi scritti afferma: “Non molto tempo dopo, 60 anni prima della guerra di Troia,1243 a.C. circa, si verificò un'altra spedizione greca nell'Italia centrale, proveniente dalla città arcadica di Pallantio e guidata da Evandro.” Una cronologia diversa viene fissata invece da Eratostene.

Lo stesso autore data, circa due anni dopo la caduta di Troia, la fondazione di Lavinio ( 1181 a .C.), quindi racconta che Enea regnò tre anni sui soli Troiani, durante il quarto anno morì Latino ed Enea ebbe il regno unito dei due popoli. Andrea Carandini in un’intervista rilasciata nel ’97 al quotidiano “ La Repubblica ”, ribadisce che Lavinio ed Alba Longa furono fondate rispettivamente nel 1181 e 1151 a .C. Più precisamente Lavinio fu fondata al termine della guerra con Turno re dei Rutuli. E’ noto, dalle cronache storiche, che l’esito del conflitto fu favorevole ad Enea. A Latino, re dei Latini, non rimane che concedergli la figlia Lavinia in moglie e di designarlo come suo successore al trono. Enea sposa Lavinia e fonda la città di Lavinio, l'odierna Pratica di Mare.

Come per un apparente controsenso, si apprende dalla versione latina, che Enea fondò Lavinio al secondo anno dalla presa di Troia (Dion. Hal. I, 63, 3), sposò  Lavinia dopo la fondazione di Lavinio (Dion. Hal. I, 60, 1) e morì  al settimo anno dalla conquista di Troia (Dion. Hal. I, 65,1).

Sempre dalle antiche cronache che ci sono state tramandate possiamo datare la partenza di Aleso da Micene, successivamente all’assassinio di Clitemnestra. “Il terribile delitto di Agamennone non restò però impunito: otto anni dopo Oreste, il figlio del re assassinato, si vendicò uccidendo a sua volta Egisto e l'infedele Clitemnestra.”

In sostanza è facile dedurre che le guerre che videro la città di Troia protagonista sono in realtà due. La prima, sicuramente più famosa, fu tramandata ai posteri grazie all’opera di epici narratori. La seconda sicuramente meno nota emerge solo dal confronto di alcune note antiche con le più recenti scoperte archeologiche. Entrambe comunque ci sono utili per fissare alcune tappe fondamentali della vita del nostro eroe Aleso. In base a quanto esposto è possibile stabilire la seguente scansione cronologica:

1243-1233 guerra di Troia

1230 ritorno a Micene

1222 uccisione di Clitemnestra

1181 morte di Aleso narrata da Virgilio

Una successione di eventi che ci induce a pensare un Aleso pressappoco ventenne mettere piede sul pianoro sommitale del colle Molesino e morire nella guerra, come narrato da Virgilio, alla soglia dei sessant’anni.

Per quanto riguarda il termine Iuna e le sue varianti, l’ultima che mi è capitata davanti agli occhi, in ordine cronologico si riferisce a Veio in cui si ricordava un re Iuneo Morrius o Mamorrius discendente di Halesus fondatore di Falerii (Servio, ad Aen. VIII, 285).

Ho fatto molto affidamento sulle notizie dateci da Dionigi d’Alicarnasso su un’origine pelasgica di Falerii e sulle affinità culturali e religiose fra Argo e la città falisca [Dionigi I,21]; tuttavia recentemente l’Altheim [In Der Ursprung der Etrusker, 1950, 20, 29, 35 sg.] ha collegato i dati della tradizione nella visione complessiva della più antica colonizzazione greca in Italia a cui egli applica l’aggettivo “pelasgica” [ egli si appoggia anche sull’opera di vasai greci in Falerii, testimoniata fra 1850 e 1800 (almeno secondo il Blakeway in Bull. Soc. Arch. XXXIII, 196 e nel 3. R. 5., XXV, 1935, 130 sgg. e 146): questa testimonianza è sicura per il Frederiksen e il Perkins (p. 130). Particolarmente importante mi sembra quindi anche a questo riguardo il ritrovamento piuttosto frequente, nelle necropoli dell’Agro Falisco, di «Schnabelkannen» di aspetto molto arcaico e troiano (Bosch-Gimpera, Le relazioni mediterranee post-micenee e il problema etrusco, St. Etr. III, 1929, 24)]. Il PISANI, nella comunicazione tenuta al VI Convegno di Studi Etruschi, ha supposto in falisco forti influenze umbre — solo in parte documentate — per cui questa lingua potrebbe aver servito da tramite a fenomeni « italici » riscontrabili nel latino volgare; giudizio del resto condiviso dal BONFANTE, che crede debbano riportarsi all’italico e quindi al latino volgare importanti elementi grammaticali falisci. Queste, solo alcune citazioni per giustificare il motivo per cui “ho osato” tradurre col latino volgare (arcaico) il termine IVNIANELLVM.” Il seguito nelle prossime puntate. Ora mi voglio godere qualche altro scampolo di agosto. Comunque avrò modo di accompagnare ogni affermazione fatta con citazioni storiche documentate. A presto!

parte II

Per quanto concerne il contesto storico.
L’archeologia ci dà un contributo importantissimo alla conoscenza della cultura falisca, in molti suoi aspetti, nonostante che i reperti, particolarmente numerosi, attendano ancora di essere sistemati in una chiara e precisa visione di insieme. Il territorio sembra essere stato abitato fin da epoca preistorica [Cfr. RELLINI, Cavernette e ripari preistorici dell’Ager Faliscus, Mon. Ant. XXVI, 1920, 1 sgg.]. Sporadiche testimonianze di autori classici accennano ad alcuni aspetti della vita agricola falisca definibile preistorica: per la coltivazione del lino cfr. Grazio Falisco, Cyneg. 40 (e v. Silio Italico IV, 223); per l’allevamento dei buoi Plinio, Nat.
Hist., II, 106; Ovidio, Amor. III, xiii, 13 sg.; Fa. I, 84; Ep. Pon. IV, 4; per l’apicultura, Varrone, Re Rust., III, 16. Può essere significativa anche l’attestazione catoniana (Agr. IV, 1; XIV, 1) faliscae «mangiatoia », se sostantivazione dell’aggettivo e non, come si ammette comunemente, derivazione indipendente da fala (cfr. GIACOMELLI, 1962, Top., 56). L’antico culto di Giunone nell’Agro Falisco è citato dal Giglioli, Mon. Lincei, XXVI, 1920, 171 sg. e dall’Aebischer, St. Etr. VI, 1932, 127. Siti di culto falisci hanno fatto dedurre al DELLA SETA (p. 200) l’esistenza sul luogo di un centro religioso falisco dell’età del bronzo. In particolare la venerazione di Giunone [Ovidio, Fa. VI, 49; Amor. III, 13; Dionigi d’Al. 1, 21 2; Pseudo Plur. Parallela, 35; Tertull. Apolog. XXIV, 48 (e cfr. CIL. XI, 1, 3126). Su possibili sopravvivenze di tradizioni legate a questo culto cfr. DEL FRATE, 69. Il GAMURRINI (1887, 62) parlava di tre periodi di scrittura falisca: nel I (fino all’età del bronzo all’incirca 1200 a .C.) si sarebbe ricevuto l’alfabeto greco-calcidico, nel II si sarebbero accolte forme dall’etrusco, nel III alcune lettere sarebbero state modificate per influsso romano. Quindi una diretta influenza del falisco nella lingua latina come sancito dal Vetter che afferma il riscontro di analogie fra la lingua latina volgare ed il falisco [Bibl.: Giglioli, 1916, 62; Buffa, n. 987; Vetter, n. 352.]

21.08.07
Parte III

 

Prima di riportare alcune delle note della parte III, vorrei fissare 4 punti:

1) Mi si accusa di non aver messo negli articoli i riferimenti bibliografici; colgo l’occasione per ricordare che l’articolo giornalistico si differenzia sostanzialmente dalla trattazione scientifica. Se avessi messo nell’articolo tutti i riferimenti, avrei accontentato qualcuno - addetti ai lavori - ma non l’avrebbe letto nessuno altro!

 

2) La mia non è una provocazione in senso scherzoso, come qualcuno ha affermato; la mia provocazione ha l’intento di rinvenire segmenti di storia noti ad altri che non ho avuto modo di reperire; oppure, informazioni che potrebbero diventare preziosi tasselli del puzzle: perchè pur non essendo uno storico mi sono reso conto che la ricostruzione storica è fatta dall’accostamento di infiniti dettagli.

 

3) A proposito dei condotti scavati da trogloditi: agli inizi del ‘900 nello spiazzo dinanzi alla vecchia caserma (via IV Novembre) c’erano due cisterne scavate nel terreno che attingevano acqua raccolta dai rivi che scorrevano in basso grazie a dei condotti che consentivano il principio dei vasi comunicanti. Ho avuto la fortuna di vedere le foto che le ritraggono; C’È TUTTORA CHI NE È IN POSSESSO! Inoltre, all’interno dei locali della Cupa ci sono canali, che vanno in alto verso il pianoro sommitale del Molesino, scavati nel tufo, del diametro di 60- 80 cm . Secondo voi: chi li ha scavati? Per quale motivo? Guarda caso l’approvvigionamento idrico dell’acropoli di Micene fu realizzato con lo stesso criterio (com’è facile rilevare anche attraverso la rete!)

 

4) Il termine IVNA, come esporrò più avanti, negli scavi eseguiti a Vignanello risulta, tra le epigrafi rinvenute, con una frequenza notevole: SAREBBE ASSURDO PENSARE CHE TUTTI SI CHIAMASSERO ALLO STESSO MODO!

 

Ed ora veniamo a IUNA e le sue derivazioni.

Dal testo “La lingua falisca” di Gabriella Giacomelli pag. 90

A Falerii Veteres (C. Castellana) vennero rinvenute queste due epigrafi:

TULO.P( )/.IUNEO               TULLUS P. /IUNAE FILIUS

Secondo la convenzione etrusca e poi romana: il prenome e un gentilizio (in gran parte perduto); nel secondo un patronimico. Bibl.: THULIN, n. 29; VETTER, n. 306.

E sempre a C. Castellana:

(CIE 8251) Frammento di tegola sepolcrale da Villa Giulia. Le lettere sono dipinte in rosso su intonaco.

CELA/IUN( )                         CELLA IUNE

La lettura appare incerta; la e è del tipo corsivo.

Lo Herbig vede in cela un cognome e completa IUN nel patronimico IUNEO. Si potrebbe invece pensare all’appellativo seguito dal genitivo del personale IUNA.

 

(CIE 8287-8288) Pietre tufacee rotte in due parti, ora a Villa Giulia. Le lettere sono scolpite.

IVNA                                      IVNA

Appare la scritta IUNA per due volte, in posti distinti, ed il resto è andato forse perduto.

Bibl.: VETTER, n. 315 e 316 sostiene che possa trattarsi di un luogo di provenienza.

 

L’archeologo Gamurrini che a Roma incontrò il viterbese Francesco Orioli e ne seguì le lezioni di epigrafia etrusca arrivò nei suoi appunti a una considerazione: “forse il patronimico IVNA identifica in talune genti un luogo di origine identificato come il luogo di Giunone.” Quello con Orioli fu un incontro fecondo; lo scienziato viterbese suggerì al giovane studioso aretino un importante orientamento metodologico, quello di annotare i risultati delle ricerche su schede organizzate per argomento; si trattava, in nuce, dello “schedario Gamurrini”, che curò nel corso dell’intera esistenza. Pubblicò la parte delle ricerche dedicata all’agro falisco in “Monumenti Antichi dei Lincei”; nel 1897 compilò l’indice dell’opera monografica sull’Agro Falisco e Capenate e lasciò molti interrogativi sull’Ager Iunias.

 

Mentre a Corchiano – Puntone del Pero - venne rinvenuta dall’archeologo Guidi (CIE 8344-8352) la seguente epigrafe su una tegola sepolcrale da una tomba scavata nel 1831, conservata adesso nel magazzino del Museo Gregoriano in Vaticano. L’iscrizione ha lettere dipinte in rosso su intonaco

L’iscrizione si distacca dalle altre per la direzione destrorsa, la grafia e la lingua essenzialmente latine.

IUNEO.HE:CUPAI/CARCONIA

 

Altre scritte furono rinvenute in tale località ( “La lingua falisca” pag. 99 di G. Giacomelli):

Tracciata sulle due facce in caratteri falisci sinistrorsi, con vernice giallastra; nelle altre si hanno invece caratteri latini dipinti in bianco (104) e adesso quasi svaniti (105) (v. Tav. X).

I)

a) IVNA                      IUNA

b) IVNA

II)

( )uo.nel(

III)

( )a.neln( )///uxo.ohix( )

IV)

( )nea. xa/[u]xor ia. /ma.oxcinx

Mentre nella I il tracciato occupa la parte centrale della tegola, nella II esso scorre lungo il margine superiore, lasciando vuoto lo spazio restante. Mancano presumibilmente due tegole, una precedente, una seguente, per completare l’iscrizione. Il frammento che contiene la III è privo della parte inferiore (probabilmente vuota, dato che lo spazio libero è maggiore della distanza fra le due righe) e dell’angolo destro inferiore. Inoltre una tegola precedente deve essere andata perduta. Le lettere della prima riga sono abbastanza nitide e sicure, eccetto l’ultima n, quasi svanita: soprattutto il tratto che collega le due aste è ipotetico. Inoltre la lettera sembra seguita da una spazio vuoto, ciò che farebbe quasi pensare a una forma compiuta. In questa parte terminale, fra le prime due righe si nota poi una lettera incerta, che possiamo leggere come /. Nella seconda riga uxo è sufficientemente chiaro. Dopo, la o e la h sono nitide: seguono due aste, di cui la seconda, mutila. potrebbe essere completata come una I.

Il frammento che contiene la IV è spezzato obliquamente in alto a sinistra, in modo che l’ultima riga risulta quasi intera, mentre nella prima non restano che poche lettere. Probabilmente in questo caso si trattava di una tegola unica. Dopo la terminazione -nea, in cui la n appare mutilata dell’asta anteriore e la a malsicura per la forma inconsueta (le due aste disegnano un angolo strettissimo), notiamo una lettera illeggibile, che potremmo paragonare a una g stravolta e rovesciata: la a seguente, veramente incerta anche perché assai svanita, è seguita a sua volta da una macchia biancastra in cui potremmo forse vedere un punto. Nella riga seguente la parte mancante corrisponde a più di una lettera, ma probabilmente si è perduta solo la a, insieme alla parte sinistra superiore della x. Fra (u)xor e ia un ampio tratto è lasciato libero l’iscrizione principale finiva probabilmente con l’appellativo. L’aggiunta infatti, oltre a mostrare qualche differenza di grafia, si colloca in quello stesso rigo a un livello leggermente superiore. La lettura ia non è sicurissima perché macchie biancastre sporgono verso destra dalla parte superiore della i. Dopo il punto doveva esistere probabilmente una lettera, di cui non resta che una vaga traccia. Nella terza riga ma è chiarissimo: dopo il punto leggiamo una o, una x stranamente rotondeggiante nella parte sinistra (con una sbavatura di colore in alto), una c, una i, forse una n; si tratta però di lettere confuse nella parte inferiore. L’ultimo segno è completamente incomprensibile.

Dal punto di vista della grafia dobbiamo notare nella I a il tipo della a « a bandiera », cioè incompleta nell’ultimo tratto inferiore, arrotondata. Una linea in più nella n è da ritenersi casuale. Nella II si nota il tipo λ della l, che ritorna anche nella III e ricorda quello della 121 VII e VIII; la e è normale, come nella III, mentre nella IV si nota la forma corsivo. Nella IV la grafia è piuttosto sciatta. Diverso nella prima e nella seconda parte appare il tipo della a, dapprima stretto e con tratto congiungente, poi largo con tratto appoggiato a destra. Anche la m è piuttosto ampia.

 

In quel di Vignanello il termine IVNA, o sue varianti, al contrario di altri siti è molto frequente (riscontro operato sia dal Vetter, Nogara e dal Gamurrini). Il MERCKLIN (St. Etr. IX, 1935, 317 sg.) arriva a definirlo un termine locale per le innumerevoli volte che lo annota negli appunti; molte delle quali, sbiadite nel tempo, sono conservate nel magazzino del Museo Gregoriano in Vaticano, di queste (rinvenute a Vignanello) le più significative al nostro scopo:

IVN.VM

IVNAE.LVM

 

Non oso tradurle, provateci voi!

 

Nel testo “La lingua falisca” della Giacomelli, a pag. 105, inizia la rassegna delle epigrafi rinvenute a Vignanello (dove il termine IVNA è quasi una consuetudine, talvolta come gentilizio e talvolta come patronimico; anche se non sappiamo molto circa la successione dei nomi e spesso ci aiutiamo con la tradizione romana o tardo etrusca.)

Territorio di VIGNANELLO - Presso la strada per Vallerano.

Seguono epigrafi su tegole di una tomba a camera con numerosi loculi, adesso a Villa Giulia (tranne quelle delle iscrizioni V e IX, riportate recentemente a Civita Castellana). Le iscrizioni sono dipinte, alcune in rosso (I, II b), altre in bianco. La I , la III , la VI , la IX , la X e l’XI sono composte di una sola tegola (anche per le ultime tre la tegola è unica, ma il testo non è completo), la XI , la VII e l’VIII di due, la IV e la V di tre. Il testo è scritto trasversalmente nelle I, Il, III, XI e XIII, longitudinalmente nelle altre: nelle due righe della I e nella IX piega però al margine formando un angolo (113), mentre le due righe della III sembrano quasi costituire una spirale. La XI è in direzione destrorsa. Nella XI i due testi sono sovrapposti (a) è su un’unica tegola: di altre righe non restano che tracce vaghe.

b) iunavelmineo/titio                              Iuna Volminaeus Titi /.

X) tito velmineo:iun/ai(.)                        Titus Volminaeus Iunae

 

La Gabriella Giacomelli nelle 2 note di piè pagina 105 de “La lingua falisca” tiene a precisare:

(112) Di queste iscrizioni non ho avuto che notizie indirette, ma precise, grazie alla gentilezza dell’Assistente sig. Bracci.

(113) Nella Il e nella IV la o finale di velmineo è posta sotto la ultime lettere per mancanza di spazio.

 

Ora sono stanco, alla prossima puntata. A presto. Terzo Clementi